• CANTORO
×

Avviso

Non ci sono cétégorie

IERIOGGIUn articolo de “Il Messaggero” del 31 luglio 1951 denunciava la grave situazione dei teramani costretti a vivere nei “bassi” malsani del centro storico. Il titolo diceva: “Le famiglie indigenti di Teramo sono alloggiate in fondaci malsani”. Nel sommario si leggeva: “E’ necessario costruire case minime, fognature e tutti gli altri più elementari impianti igienici. Si impone l’attuazione di un piano regolatore”. La zona centrale di Teramo, diceva l’articolo, che costituiva l’antico nucleo cittadino, era formata da “case vecchie, antigieniche, separate da vie strette ed anguste, prive comunque di aria e di sole”. I pianterreni erano ambienti umidi, privi di aria e di luce, i cui pavimenti erano posti al di sotto del piano stradale. Erano veri e propri fondaci di un unico vano dove abitavano molte famiglie povere e numerose, in condizioni di vita deplorevoli e immorali. Erano alloggi privi di servizi igienici, i rifiuti venivano gettati sulla pubblica strada, che spesso, in determinate ore del giorno, diventava pestilenziale e intransitabile, sebbene il Comune provvedesse alla raccolta a domicilio. Le condizioni igieniche di quelle povere famiglie e della città in generale erano gravi e pericolose per la diffusione di malattie infettive, frequenti in quelle categorie di famiglie, Il Comune in passato si era preoccupato  del risanamento della città, mediante un piano regolatore di carattere igienico nella zona più malsana della città, quella di Santa Maria a Bitetto. L’incarico era stato affidato all’ing. Sigismondo Montani, abile e vero teramano, che amava il progresso della città. Il piano prevedeva il diradamento (abbattimento) degli edifici, apertura di nuove piazze e di nuove vie. Si trattava, in realtà di quello che altrove, ma non a Teramo, veniva chiamato uno “sventramento”, con l’abbattimento indiscriminato di molti edifici anche medievali. Ma l’articolo dell’operazione sottolineava solo gli aspetti positivi: si buttavano le cose vecchie e se ne facevano delle nuove. L’unico aspetto negativo che si considerava era che, sebbene l’operazione fosse stata approvata e finanziata dallo Stato, solo in minima parte si era riusciti ad attuarla, in quanto comportava la preventiva costruzione di alloggi per le famiglie che abitavano negli stabili da demolire, per le famiglie povere che abitavano nei fondaci. Si rendeva necessaria la costruzione di nuove case di tipo molto economico - perciò venivano chiamate “case minime” – destinate ad una popolazione indigente. La costruzione delle “case minime” era il mezzo più efficace per risolvere il problema del risanamento igienico di Teramo, al quale la nuova amministrazione del sindaco colonnello Alfredo Biocca non poteva sfuggire. Essa aveva svolto una relazione in cui si segnalava che i focolai e i casi più frequenti di malattie infettive si registravano proprio nella zona di Santa Maria a Bitetto. Erano finora risultati effimeri i risultati conseguiti dalla costruzione di fognature e di condotte di acque potabile. Il problema doveva essere affrontato una volta per tutte e la costruzione di nuovi alloggi “minimi” o “economicissimi” doveva costituire il primo passo verso il risanamento igienico e sociale di Teramo. Il loro numero doveva essere sufficiente ai bisogni di circa 200 famiglie, i cui componenti assommavano a 2.000 unità, che abitavano attualmente in 700 fondaci. La spesa prevista ammontava a circa 200 milioni. Il sindaco aveva chiesto al ministero un intervento ai sensi della legge 2 luglio 1949, che prevedeva la concessione di contributi in annualità da parte dello Statoagli  enti e società' che ai sensi del testo unico 28 aprile 1938, n.1165,  sull'edilizia popolare ed economica costruissero case popolari.Le somme messe a disposizione erano 2 miliardi per l’esercizio 1949-50, 4 miliardi per l’esercizio 1950-51, 5 miliardi per l’esercizio 1951-52, 5 miliardi per gli esercizi  dal 1951-52 al 1983-84, 3 miliardi per l’esercizio 1984-85 e 1 miliardo per l’esercizio 1985-86. Queste cifre l’articolo non le forniva, ma gli amministratori le conoscevano bene e si erano mossi per ottenere le somme adeguate. Mossa giusta: ma purtroppo oggi sappiamo che il problema del risanamento edilizio costituì, purtroppo, “l’alibi” per sventramenti indiscriminati e per abbattimenti scriteriati, tra cui quello del Teatro Ottocentesco, secondo lo slogan: “Il vecchio è brutto e malsano e va buttato,viva il nuovo e il moderno”. Era uno slogan che piaceva molto ai costruttori teramani sulle cui attività per decenni poggiò tutta l’economia cittadina. Altrove li chiamavano “palazzinari”: a Teramo il termine non attecchì mai, ma la città in qualche decennio cambiò volto e i due termini “antico” e “vecchio” furono considerati sinonimi. Vederseli attribuire portò ogni edificio esistente ad una condanna a morte e all’abbattimento.

​​​​​​​​​Elso Simone Serpentini

Notaindi