In questi giorni la stampa sta dando grande rilevanza ad una ricorrenza: il 3 gennaio 1954 nacque la televisione della RAI, o meglio, dopo un lungo periodo sperimentale, venne annunciato l’inizio del servizio nazionale. Ma più di un anno dopo, nel marzo del 1955 nel teramano la televisione era ancora un miraggio. Di un sogno non ancora realizzato si faceva interprete S.M. (Sandro Morriconi) su “Il Tempo” del 1° marzo 1955, in un articolo che annunciava: “La «televisione» arriverà nel Teramano attraverso una catena di ponti radio”. Il direttore generale della RAI e il ministro delle telecomunicazioni, si leggeva nell’articolo, avevano annunciato il programma di sviluppo della televisione in Italia: nel 1956 tutto il territorio nazionale avrebbe usufruito del nuovo servizio e l’Abruzzo faceva parte dei quel gruppo di regioni che ne avrebbero disposto entro il 1955.
La diffusione della televisione, spiegava l’articolista, poneva ostacoli superiori a quelli della radio, infatti, mentre i programmi radiofonici si diffondevano nell’etere in ogni direzione, quelli televisivi seguivano una direzione determinata e si fermavano davanti alle montagne. Perciò i programmi televisivi partivano dagli studi di Torino, Roma e Milano, raggiungevano direttamente le zone circostanti, ma dovevano essere trasportati in altre zone mediante stazioni ripetitrici. Purtroppo ragioni tecniche ed economiche non permettevano la realizzazione di una rete completa di cavi, ciascuno dei quali era composto da quattro tubi coassiali e da vari fili di rame, due tubi servivano per le comunicazioni telefoniche e i fili di rame per altri servizi.
Il costo dei cavi poteva essere compensato solo nelle zone in cui le comunicazioni telefoniche erano di intensità tale da richiedere il cavo. Il programma trasmesso, poi, continuava a spiegare il giornale, attraverso il cavo raggiungeva le stazioni ripetitrici, che lo diffondevano nelle zone circostanti. Nelle regioni che non consentivano l’uso dei cavi, si adottava il sistema dei ponti radio, che potevano essere paragonati a fasci di luce proiettati da una montagna all’altra, rinforzati e riproiettati fino a giungere a destinazione. L’articolista scendeva nel dettaglio nelle sue spiegazioni, sapendo di dover spiegare una materia difficile a lettori che ne erano del tutto a digiuno. Così diceva che nel campo specifico delle onde metriche le frequenze (che erano di circa cento milioni di cicli al secondo) venivano irradiate in direzione di località visibili, ricevute, livellate, amplificate e irradiate di nuovo verso località visibili, e così di seguito, fino a raggiungere l’emittente che serviva il televisore.
Nel caso di Teramo, il programma TV sarebbe partito da Roma e diretto verso il Terminillo, qui sarebbe stato ricevuto e irradiato verso Campo Imperatore, qui ricevuto e irradiato verso San Silvestro di Pescara, qui ricevuto e irradiato verso una collina situata a nord est della città, nei pressi di Ioanella. Qui sarebbe stato sistemato un ricevitore automatico che avrebbe servito Teramo e la Val Vibrata. Ascoli Piceno, invece, avrebbe ricevuto il programma da Monte Conero. Come si sa, sarà prescelta una località diversa, Castellalto, preferita alla citata collina nei pressi di Ioanella.
Morriconi spiegava ancora che i canali sarebbero stati cinque, per evitare interferenze o comunque effetti nocivi alla ricezione TV. Per avere una buona ricezione, occorreva che all’antenna giungesse una certa intensità di campo elettromagnetico, e, se l’emittente non era in vista, perché sita in località marginale, l’intensità di campo era debole. Per avere risultati soddisfacenti, occorreva una buona antenna, messa a punto da un tecnico specializzato.
Quando finalmente la televisione arrivò a Teramo, e fu nel 1956, i teramani potettero vedere i programmi solo sotto i portici del Banco di Napoli, in un locale che oggi fa parte del Caffè des Artistes, dove aveva dove c’era il laboratorio radio-tecnico Di Bonaventura, nel quale lavoravano due giovani assai preparati.
Uno era Domenico Valorosi, che morì prima dell’arrivo a Teramo della televisione, alla curva del Castello a bordo di una vetturetta 750 di sua proprietà con la quale intendeva partecipare alla sesta edizione del circuito automobilistico del Castello nel giugno del 1954. L’incidente avvenne nelle prove ufficiali, il giorno prima della gara.
L’altro era Francesco Tittarelli, che poi proseguì come tecnico alle dipendenze dei Fratelli Marini per poi passare alla manutenzione e controllo dei ripetitori Fininvest. Di Bonaventura sistemò un televisore nella vetrina del suo negozio e degli altoparlanti all’esterno, così i teramani vogliosi di guardare i programmi televisivi potevano affollarsi, in piedi, davanti alla vetrina, restandovi per ore pigiati come sardine. Poi cominciarono a dotarsi di un televisore anche i bar, prima il Grand’Italia (dove i programmi si seguivano stando sempre in piedi) poi il caffè Moderno del cav. Mario Petrella, che ebbe l’idea di allestire una saletta apposita, dove i clienti potevano seguire i programmi previa debita consumazione. Ne istallò uno nel suo locale, lungo il corso, anche il proprietario del Caffè Aquila d’Oro, ragionier Cicconi, burbero e collerico, ma il segnale era debole e spesso si perdeva, così ognuno si sentiva autorizzato a toccare i tasti per cercare di miglioralo, qualcuno arrivando a dare la classica botta con la mano all’apparecchio.
Così il ragioniere ebbe una brillante idea: appese al televisore un cartello che diceva: “Non toccatelo. Non va meglio di così”.
ELSO SIMONE SERPENTINI