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IERIOGGIUna nuova città sta sorgendo alla estrema periferia di Teramo” annunciava “Il Messaggero” del 3 novembre 1951. Nel sommario si leggeva: “In un paio d’anni, la vasta area degli orti Cerulli si è trasformata in un fervido cantiere – E’ necessario, finché si è in tempo, creare per la zona un piano regolatore”. L’articolista, G.d.S. (Giuseppe de Sanctis), diceva di essersi recato personalmente nella vasta area degli Orti Cerulli per dare un’occhiata e si era trovato di fronte un cantiere e nuova costruzioni realizzate con una celerità sbalorditiva: la Piccola Casa Aprutina, due lotti per le abitazioni dei dipendenti provinciali, gli alloggi per la Cooperativa “Casa Mia”. Erano anche in corso gli scavi per le fondamenta del fabbricato della Cooperativa “Domus Nostra”, per la costruzione del nuovo “Albergo Squartini” l’Hotel Gran Sasso). Insomma era tutto un sussulto di opere nuove, stava sorgendo un nuovo rione e perfino l’Acquedotto del Ruzzo stava istallando grosse condotte adduttrici. Tra breve nella zona sarebbe sorta la nuova sede del Genio Civile e sarebbe stato edificato anche il secondo lotto per le case dei dipendenti comunali. L’area della quale parlava il giornale era quella che oggi ha al centro Via Luigi Vinciguerra e Via Vincenzo Cerulli Irelli. Teramo, la città degli orti, perdeva un altro orto, l’Orto Cerulli, dopo aver perso un altro orto, l’Orto Delfico, accanto a Via del Burro, diventata Via Carducci. Era lo stesso articolista che ricordava che al posto dell’Orto Delfico era sorto un nuovo grandioso edificio, lamentando però che la sua costruzione fosse stata ritardata di un paio d’anni, per conservare un pino di una bruttezza orribile mediante cavilli, sopralluoghi, divieti, facendo diventare la faccenda una ragione di Stato. Solo per quel pino si era fatta viva la Commissione di tutela del paesaggio, che invece non interveniva quando doveva farlo, per disciplinare l’edilizia cittadina.

RetuyL’articolista mostrava la sua soddisfazione per la rapidità con cui Teramo si popolava di nuovi fabbricati, ma si rammaricava che lo sviluppo urbanistico avvenisse senza un nesso architettonico e una norma regolatrice. Era per colpa dei tempi e della necessità di realizzare subito nuove case che il nuovo rione degli ex Orti Cerulli stesse sorgendo senza disciplina, senza tener conto “dell’estetica architettonica e dell’inquadratura come Dio ha voluto, senza raziocinio”, come le erbacce che spuntano alla rinfusa sui cigli delle strade. Eppure c’era un pletora di commissioni: di tutela dell’edilizia, dell’ornato, dell’estetica cittadina, della tutela del paesaggio, delle antichità, sempre pronte a rompere le scatole con una cocciutaggine spaventosa nell’intralciare opere urgenti e indilazionabili, pronte a strillare spaventosamente come i Mammalucchi sterminati da Napoleone alle Piramidi solo per opporsi all’abbattimento di un pino secolare necessario per far posto alla costruzione di un grosso nuovo palazzo. Nella nascita del nuovo rione si notava “un taglio netto” tra la zona dei nuovi fabbricati e quella immediatamente attigua delle vecchie case e palazzi: non si era mai visto qualcosa di più orribile e stonato. C’era una diversità di stili che faceva a cazzotti con ogni buonsenso. La vista ne soffriva orribilmente davanti ad una bruttezza e promiscuità piramidali. Bastava guardare il gruppo di caseggiati vecchi confinanti con il costruendo Albergo Squartini, abitazioni “pedisseque, brutte, deformanti”. Rappresentavano una nota di tale discordanza da far venire voglia si sventrare quelle vecchie costruzioni dai tetti a più fogge e sconnessi per costruire al loro posto qualcosa di degno. Ormai era inutile recriminare, concludeva l’articolista. Il nuovo rione avrebbe conservato la sua struttura difforme ed indisciplinata, “infarcita d’ogni contrastante stile architettonico, a delizia di ogni buon teramano amante dell’estetica cittadina”. “Un giorno di là da venire” scriveva De Sanctis “i nostri figli e  nepoti potranno legittimamente dire che non brillammo di genialità nel gettare le basi del nuovo rione”. Forse sarebbero stati loro a fare finalmente un piano regolatore, aggiungeva. Se ne parlava da anni, come della ferrovia Teramo-Capitignano, il cui progetto era stato rispolverato ad ogni appuntamento elettorale. Solo un piano regolatore avrebbe potuto eliminare tante brutture cittadine, sventrare i fondaci malsani, liberare tante preziose aree e disciplinare l’edilizia teramana. Sarebbe così nata la nuova Teramo, “allineata con la modernità dei tempi”. Come si vede, si rimarcava sempre di più il sogno di una nuova Teramo, moderna, per avere la quale si pensava che fosse necessaria abbattere e sventrare la vecchia, cancellare gli orti e rendere le aree fabbricabili. Si preparava lentamente il terreno che avrebbe portato all’abbattimento del teatro ottocentesco. Quel che sorprende nell’articolo, almeno nel titolo, è che si diceva che il nuovo rione stava sorgendo “all’estrema periferia di Teramo”, mentre l’area dell’Orto Cerulli si trovava in centro città, a pochi passi dal Corso. Ma forse, allora come oggi, i titoli li facevano i redattori di Roma, che di Teramo e della sua mappa sapevano poco o nulla.

ELSO SIMONE SERPENTINI