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IERIOGGIQuel sabato 29 marzo 1958 a nessuno dei 40 consiglieri comunali di Teramo, di maggioranza e di opposizione, a nessuno dei membri della giunta, Sindaco compreso, poteva sfuggire l’importanza delle decisioni che stavano per prendere. A nessuno poteva sfuggire l’importanza storica del Teatro Comunale, inaugurato nel 1868, di cui stavano per decretare l’abbattimento per costruire al suo posto un nuovo cine teatro. E che non potessesfuggire, abbiamo la prova, perché in apertura di seduta, che aveva un solo punto all’ordine del giorno: “Teatro Comunale. Provvedimenti”, lo stesso Sindaco, il democristiano prof. Carino Gambacorta, del Teatro da abbattere ricostruì brevemente la storia, dopo aver ricordato che il Consiglio Comunale, con atto n. 103/4 del 3 luglio 1957, aveva demandato alla Giunta “di studiare, sotto ogni aspetto, l’importante problema del Teatro Comunale e di portare al Consiglio concrete proposte che tenessero prevalentemente conto dei superiori interessi della collettività”.
Prima di tracciare una sintetica storia delle fasi che avevano portato nell’Ottocento all’edificazione del Teatro, il Sindaco Gambacorta aveva anche ricordato che già l’amministrazione che aveva preceduto la sua, guidata dal colonnello Alfredo Biocca, aveva avvertito la necessità di risolvere il problema, senza indugi, orientandosi per l’abbattimento dell’attuale fabbricato e la costruzione di un nuovo Cinema-Teatro, come si rivelava dal verbale n. 173/10 del consiglio comunale di Teramo del 5 dicembre 1953. La cronistoria della costruzione del Teatro, che il Sindaco definì “veramente interessante”, partì da quando il 6 aprile 1840 l’Intendente della provincia di Teramo Francesco Statella Marchese di Spaccaforno aveva fatto fare un apposito progetto “dai due benemeriti Deputati dei pubblici spettacoli” e aveva incaricato il sindaco Pietro Marcozzi di “volere incoltamente incontrare il Decurionato”, autorizzandolo, vista la di lui malferma salute, a riunirlo a casa sua, data l’urgenza. Il decurionato, ricordò il Sindaco Gambacorta in consiglio, l’8 aprile 1840 aveva approvato, con modifiche, il progetto e la spesa di quindicimila ducati, da fronteggiare con l’emissione di 300 azioni, di 50 ducati ciascuna, da acquistarsi 200 dal Comune, che avrebbe pagato in otto anni a partire dal 1841, e 100 dai cittadini teramani che si fossero resi disponibili a pagarle in tre anni, a rate trimestrali, a partire dal giorno della concessione della sanzione sovrana. Il Sindaco Pietro Marcozzi, ricordò il Sindaco Gambacorta, come riportato nel verbale della seduta del consiglio comunale, aveva rivolto un proclama “ai suoi buoni amministrati”, per informali “col più vivo piacere” della decisione presa di costruire un nuovo Teatro e del modo che era stato scelto per finanziarlo. Il 10 novembre 1841, dopo vivaci contrasti per la scelta dell’area, finalmente i lavori erano stati appaltati a Raffaele Conti, che li aveva iniziati nel Largo della Fontana a San Giorgio, dirimpetto alla casa del sig. Gaspari, ma purtroppo un Reale Rescritto del 1° febbraio 1845 aveva inibito il proseguimento dell’opera, che si trovava in avanzato stato di costruzione. Nel luglio del 1857, proseguì il Sindaco Gambacorta, si era ripreso a parlare di ultimare il Teatro e questa volta, ma anche questa volta, “per disparere di opinioni” il progetto non era stato ultimato e portato a termine e solo nel 1868 il Teatro era stato finalmente ultimato e inaugurato, una sera di aprile (sabato 20) di quell’anno (con “Un ballo in maschera” Di Giuseppe Verdi, la “Maria di Rohan” di Gaetano Donizetti e due Balli fantastici in 5 atti del coreografo Ettore Barracani: “Il genio malefico” e “Un viaggio in sogno”.
TetrauBen sapevano, dunque, i quaranta consiglieri comunali quanto Teramo avesse sofferto prima di poter avere un nuovo Teatro, su progetto dell’ingegnere teramano Nicola Mezucelli, che aveva preso il posto del vetusto e cadente Teatro Corradi, e con quanto vanto ne avessero goduto, accorrendo in massa alla rappresentazioni, liriche e di prosa, prima alla luce di un lampadario a candele – caduto una volta sul pubblico della platea, con grave pericolo di incendio - e poi illuminato dalla luce elettrica a partire dai primi giorni del nuovo secolo, il Novecento. Ben sapevano i quaranta consiglieri comunali quale valore storico e affettivo avesse quel Teatro di cui si apprestavano a decretare l’abbattimento, per rispondere all’ansia e alle aspettative di modernità dei teramani che volevano un nuovo cinema-teatro e un magazzino a prezzi fissi, per i quali erano disposti, anzi desiderosi, di sacrificare quello che ormai consideravano solo una “cadente e scomoda topaia”. Sapevano dell’importanza storica di quel Teatro ottocentesco, ma erano, quasi tutti, ansiosi che il Sindaco Gambacorta, dopo aver velocemente tracciato la cronistoria di quel segno di vecchiaia, passasse ad illustrare la caratteristiche del nuovo cinema- teatro che ne avrebbe preso il posto, e dei Magazzini Standa, il cui arrivo avrebbe portato Teramo tra le città moderne. Tra i consiglieri, ciascuno aveva un proprio motivo di interesse per il progetto che il sindaco avrebbe illustrato: c’era chi condivideva l’ansia del nuovo, chi sosteneva che il nuovo cimena-teatro e la Standa avrebbero portato nuovi posti di lavoro, chi diceva che la costruzione avrebbe dato lavoro nel settore edilizio, c’era chi era amico dei costruttori incaricati…C’era anche qualche consigliere che non era d’accordo sull’abbattimento, che si preparava a fare opposizione e, mentre il Sindaco svolgeva la sue relazione, consultava i suoi appunti, quelli che gli avrebbero dato il destro per dire che abbattere quel Teatro era un enorme errore, di cui i teramani del futuro si sarebbero pentiti. Si preparava anche a illustrare una proposta alternativa all’abbattimento, pur sapendo che sarebbe stata respinta e non presa in considerazione dalla maggioranza dei consiglieri. Ma questo lo vedremo… prossimamente.

ELSO SIMONE SERPENTINI