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IERIOGGIDopo l’approvazione della proposta di abbattimento del vecchio Teatro Comunale da parte del consiglio Comunale di Teramo, la stampa teramana commentò con estremo favore la decisione presa. “Il Messaggero” di mercoledì 2 aprile 1958 titolava: “Un moderno e funzionale teatro sorgerà sull’area del vecchio Comunale”. Nel sommario si leggeva: “Superato ormai il vecchio concetto dei palchi, il nuovo teatro avrà una sola ampia galleria – Al piano terra locali destinati a grandi magazzini – Circa 1400 posti a sedere – La spesa per la costruzione dell’edificio si aggira di 170 milioni”. La discussione in consiglio comunale, diceva il giornale, era stata appassionata e vivace. Il provvedimento deciso era drastico: un nuovo edificio, dalle linee architettoniche moderne, avrebbe posto il posto dell’attuale, “ormai malridotto e in uno stato di indecenza”, che male si adattava all’importanza di un capoluogo di provincia. Il vecchio teatro, dopo un passato glorioso, legato a nomi eccelsi della lirica italiana, ritenuto un tempo uno dei più belli della regione, si accingeva ad essere un magnifico ricordo di un’epoca che non sarebbe mai più tornata. Seguiva l’intervista ad uno dei costruttori, l’ing. Mario Fumo, il quale, nell’illustrare le caratteristiche del nuovo teatro, diceva che esse sarebbero state del tutto diverse da quelle del vecchio teatro. Ormai la concezione moderna aveva superato, per un edificio destinato a spettacoli, la concezione dei palchi, antifunzionale dal punto di vista della visibilità della scena. Anche la linea architettonica esterna era ispirata a concetti moderni, con la prevalenza di cristallo, alluminio e marmo. Nulla poteva dire riguardo alla parte tecnica, in quanto si stava entrando nella fase della progettazione definitiva, che prevedeva l’abbattimento completo del vecchio edificio e la costruzione di un nuovo cine-teatro. La costruzione sarebbe stata in cemento armato, con ampi locali a pian terreno destinati a grandi magazzini. Pertanto, la platea sarebbe risultata sopraelevata rispetto al piano stradale e avrebbe ospitato 700 posti, altrettanti ne avrebbe ospitati la galleria. L’intento era quello di presentate alle aspettative cittadine un’opera degna della tradizione artistica e culturale di Teramo.Sarebbe stata realizzato in diciotto mesi.

TEDER“Il Tempo” di giovedì 10 aprile 1958 titolava: “Opportuna decisione del Comune per la costruzione del cineteatro”. Nel sommario si leggeva: “La spesa di 160 milioni verrà ammortizzata con 30 anni di gestione diretta – Favorevoli commenti all’istituzione dei grandi magazzini”.  Nell’articolo si leggeva che in consiglio comunale si erano composte le controversie e i pareri discordi circa la sistemazione del teatro comunale. Riportando i termini e le condizioni del contratto tra il comune i costruttori del nuovo edificio, il giornale diceva che il programma approvato sarebbe risultato equo per ambedue le parti. Non c’era bisogno di ricordare ai lettori “lo stato deplorevole” in cui era ridotto il vecchio teatro. L’avere avuto tradizioni di fasto e di bellezza rendeva più triste l’attuale stato di abbandono. Una città giovane ed attiva, protesa vero il progresso, a volte doveva sapersi scrollare di dosso istituzioni che ne ostacolavano il cammino. Il giornale proseguiva: “Non siamo di quelli che ridono dell’arte e dei… monumenti nazionali, ma il Teatro Comunale, così com’è è troppo giovane per essere monumento nazionale e troppo poco funzionale per poter essere considerato un’istituzione moderna, utile ai cittadini di Teramo”. La decisione presa dal Comune, era,secondo l’articolista, gradita, anche perché rispondeva alla necessità di avere a Teramo magazzini a pressi fissi, tipo Standa ed Upim. Quando i commercianti locali ostacolavano l’iniziativa, sostenevano che a Teramo non ci fosse un locale adatto, ma ora l’essercene uno poteva costituire uno stimolo per la realizzazione di un sogno cittadino a lungo cullato. I vantaggi erano evidenti, il volto di Teramo sarebbe cambiato in meglio, il nuovo edificio avrebbe dato nuovo decoro ad una città che di bei edifici ne aveva pochi. Avrebbe avuto una linea architettonica moderna e funzionale, sarebbero stati eliminati i palchi e la platea e la galleria avrebbero ospitato complessivamente 1400 posti. I locali a pianoterra avrebbero ospitato i grandi magazzini. Il vecchio teatro, smantellato, non avrebbe potuto più ospitare comizi e  riunioni politiche, ma, una volta costruito, il nuovo sarebbe stato il luogo più adatto a questo genere di assemblee. L’ultimo pensiero di Rita De Nigris, autrice dell’articolo de “Il Tempo”, era di solidarietà per il rivenditore di giornali, il proprietario dell’edicola addossata al vecchio comunale, che già si chiedeva affannosamente, dove sarebbe andato a finire.

​​​​​​​​​​Elso Simone Serpentini