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IERIOGGILa “ricostruzione di Teramo”. L’espressione è stata ricorrente nella storia della nostra città. A più riprese si è parlato della necessità di “ricostruire” Teramo. Ricostruire perché? Perché qualcuno l’aveva distrutta? Ma chi l’aveva distrutta? E come? E poi è stata ricostruita? Quante volte è stata ricostruita? Perché anche oggi si parla di una Teramo da ricostruire? Ma se ne parlava anche nel 1955. “Il Messaggero” titolava un suo articolo, del 25 gennaio: “La ricostruzione di Teramo esposta al Consiglio Comunale di Teramo”. La ricostruzione veniva data per fatta, per fortuna, e infatti nell’occhiello si leggeva: “Un lusinghiero bilancio”. Quindi, la città, che qualcuno aveva distrutto, era stata ricostruita. Ma come? Cosa era stato fatto per ricostruirla? Il testo dell’articolo faceva venire qualche dubbio: si parlava di “un programma”, lusinghiero sì, ma un programma, da realizzare, non ancora realizzato. Va bene, ma in che cosa consisteva il programma? Che ci si prefiggeva di fare per ricostruire Teramo? Il sindaco colonnello Alfredo Biocca in consiglio comunale aveva parlato di opere già realizzate e di opere ancora da realizzare, progettate o programmate. Il gruppo consiliare di minoranza svolgeva un’opera di svalutazione e di minimizzazione, ma gli amministratori, aveva assicurato il sindaco Biocca, aveva lavorato sodo e bene, con puntiglio e passione, con fierezza civica, per orgoglio personale e per dimostrare agli elettori che il programma enunciato era stato non solo risolto, ma addirittura superato. Quindi la ricostruzione non era da tutta fare, molto era stato già fatto. Anche l’uomo della strada ammetteva che di più assolutamente non si poteva fare. Sì, ma che cosa era stato fatto? Per il momento l’articolo non lo diceva, specificando che, in aggiunta al già realizzato (ma non si diceva cosa), la Giunta aveva approvato la soluzione di altri importanti problemi (quindi cose non fatte, ma ancora da fare). Che cosa? Finalmente arrivava un elenco (ma di cose da fare): progetto esecutivo del secondo lotto della strada di Sardinara, per un importo di 30 milioni; progetto di variante della strada di Sciusciano; sistemazione completamento della strada Varano-Colle Santa Maria, la richiesta al Ministero dei Lavori Pubblici di un contributo, previsto dalla legge 3 agosto 1949, per la costruzione di varie opere pubbliche nel capoluogo e nelle frazioni, per un importo presumibile di 399 milioni e rotti. Tra le opere da realizzare: fognature e varie opere igieniche (50 milioni), nuova strada di accesso alla stazione ferroviaria (150 milioni), sistemazione ordinaria delle strade interne (106 milioni), bagni pubblici (50 milioni). Questo nel capoluogo. Per le frazioni erano previste: lavatoi pubblici a Varano, Sant’Egidio, Spiano, Rocciano e Castagneto (7,8 milioni), fognature e opere igieniche a San Nicolò a Tordino e Miano (30 milioni), acquedotti a Villa Stanchieri e Putignano (5 milioni). Era un programma imponente, scriveva “Il Messaggero”, come poteva vedere chi giudicava con onestà e obiettività. Di diverso avviso era il gruppo di minoranza, ma che doveva dire l’opposizione? “Tutto qui?” si era chiesto l’opposizione. “E che si voleva di più?” aveva risposto il sindaco, citando i dati positivi della “Rassegna industriale 1955”, che costituiva un preciso documentario delle opere realizzate nel settore delle opere pubbliche. 
RicoxChi legge oggi questo antico articolo del gennaio 1955, chi legge quel titolo che parla delle “ricostruzione” di Teramo, non può non tornare a chiedersi: tutto qui? Ma davvero,  a fronte delle opere che si dicevano già realizzate e di quelle che ci proponeva di realizzare, si poteva parlare di “ricostruzione di Teramo”? E ogni volta che si è parlato di una “ricostruzione” di Teramo, ci si è basati su opere come quelle elencate dal giornale? E ogni volta che si è parlato di ricostruire Teramo… insomma, ogni volta ci si è accontentati di così poco per parlare di ricostruzione? Piange il cuore a pensare che, dopo questo annuncio di ricostruzione di Teramo, si ebbero centinaia di demolizioni, tra cui quella del Teatro Comunale ottocentesco nel 1959 (quattro anni dopo questo articolo) e di tanti altri palazzi settecenteschi ed ottocenteschi, sventramenti ed abbattimenti… altro che ricostruzione… Teramo venne demolita… in attesa di une ennesima annunciata “ricostruzione”, sempre di là da venire. Si diceva che la si stava ricostruendo e invece la si stava demolendo. Anche oggi stiamo ricostruendo Teramo? Ma, scusate, signori, Teramo la stiamo ricostruendo o stiamo continuando a demolirla?

​​​​​​​​​​Elso Simone Serpentini