Venerdì 15 marzo 1957 “Il Messaggero” pubblicava un articolo dal titolo: “La soppressione del Distretto Militare non trova alcuna logica e sensata giustificazione”. Nel sommario si leggeva: “La città che già ebbe a subire nel dopoguerra il trasferimento dei Reggimenti di Fanteria e di Artiglieria e della Sezione dlel’Autocentro militare mal sopporterebbe oggi una nuova spoliazione”. Nell’occhiello veniva riportata la notizia che la Giunta Provinciale aveva espresso “fervidi voti contro il provvedimento”. L’articolo riportava il testo dell’ordine del giorno che era stato approvato, anzi, l’articolo consisteva solo nel testo dell’ordine del giorno. Tutte le argomentazioni che venivano riportate erano non del giornale, ma della Giunta Provinciale, che prendeva posizione non contro un provvedimento annunciato ed ufficiale, ma sulla base di “notizie pervenute” all’amministrazione. Sembrava che fosse in corso di attuazione un provvedimento che prevedeva la soppressione di alcuni distretti militari, tra cui quello di Teramo. Mettendo le mani avanti, l’ordine del giorno ammetteva che non c’erano elementi sufficienti per ritenere più o meno fondata la notizia della soppressione, ma, se “malauguratamente” essa si fosse rivelata vera, ne sarebbe derivato un grande malcontento della popolazione e perfino un turbamento dell’ordine pubblico. Teramo era una delle più antiche città d’Italia, avevano scritto i consiglieri provinciali, era fiorente nel suo artigianato e soprattutto nella produzione e nel commercio dei prodotti agricoli, era ricca di nobilissime tradizioni culturali, storiche e patriottiche, e aveva dovuto subire la soppressione di due reggimenti, uno di fanteria e uno di artiglieria, oltre a quella dell’autocentro militare. Avrebbe certamente mal sopportato un’ulteriore ingiustizia, che, oltre a ridurla ad una vita grama, specie sotto l’aspetto economico, ne avrebbe fiaccato ogni spirito di ripresa in tutti i campi della vita sociale. L’ordine del giorno si concludeva facendo voti al governo perché nell’ambito del provvedimento di soppressione di alcuni distretti militari, quello di Teramo fosse conservato. A leggerlo oggi questo “antico” articolo del 1957, viene la pelle d’oca, nel ripensare a tutte “le soppressioni” che dal 1957 fino ai tempi recenti si sono succedute, se ne potrebbe fare un elenco lungo il doppio dello spazio di questo articolo. Teramo veramente, soppressione dopo soppressione, si è ridotta a condurre “una vita grama” e ben poco è rimasto di ciò che potrebbe e dovrebbe “nobilitare” una città capoluogo.
Logiche e sensate giustificazioni non se ne sono trovate in tutte le soppressioni che una dopo l’altra hanno costituito lo sconfortante rosario che davvero ha fiaccato ogni spirito di ripresa della città e dei cittadini. La cronaca quotidiana ha registrato queste soppressioni e qualche volta anche le reazioni, a volte fin troppo timide, che le hanno accompagnate. Teramo non ha mai avuto tanti santi in Paradiso e pezzo dopo pezzo ha perso tutti i gioielli pregiati che aveva, sul piano architettonico, sul piano urbanistico, sul piano amministrativo e burocratico, sul piano industriale e commerciale. Piccolo e insignificante borgo, Teramo si è sempre distinta per il suo voto contrario e in direzione contraria al vento che tirava. La nazione andava destra e Teramo virava a sinistra, la nazione andava a sinistra e Teramo virava a destra, la nazione tornava ad andare a destra e Teramo virava ancora a sinistra. Insomma, ha sempre veleggiato contro vento e, come si sa, qualsiasi veliero fatica a veleggiare contro vento, specie dopo la scomparsa di Zio Remo e di Don Tonino. Non erano giganti, ma lo parevano al confronto degli attuali pigmei. Ora siamo qui, in attesa dell’ennesima soppressione, dopo la penultima, quella del collegio elettorale.
Elso Simone Serpentini