Il 29 ottobre 1952 “Il Tempo” rimarcava la necessità di un nuovo ponte sul Vezzola, per promuovere lo sviluppo edilizio della città di Teramo. Nel sommario di un articolo firmato da Giuseppe De Sanctis si leggeva che era necessario congiungere la circonvallazione con le coste di Sant’Agostino. L’articolo spiegava che questa zona per la sua ottima esposizione offriva tutti i vantaggi per la destinazione a quartiere residenziale. Era una delle zone più vicine alla città e attualmente era completamente spopolata, pur avendo delle aree edificabili, in lieve declivio, di proprietà privata, che avrebbero potuto essere giustamente e sapientemente valorizzate. Il giornale indicava quale doveva essere il punto di espansione della città, condannando a morte per “edificazione selvaggia certa” la più bella collina verde che sovrastava Teramo. In capo a pochi anni, non sarebbe rimasto nulla di verde nel profilo di quella collina, solo un ammasso di costruzioni, un insieme di costruzioni, più di un quartiere. Del parco avrebbe conservato solo il nome, “Colleparco”, ma non la forma, e in fondo nemmeno la sostanza. Allo stato, l’unico ponte di congiunzione della città con quella zona, sottolineava il giornale, era il Ponte San Ferdinando e, tendendo la città ad espandersi lungo Viale Crispi, assumendo l’aspetto di una città lineare, andava incontro ad uno svantaggio per la distanza tra la nuova zona e il centro storico. La realizzazione di un nuovo ponte sul Vezzola avrebbe favorito e incoraggiato l’iniziativa privata e pubblica, portando alla costruzione di nuovi edifici nella zona delle Coste di Sant’Agostino, una serie di caseggiati che avrebbero reso armonicamente compatta la città. Ricordando quanto il giornale si era già battuto per l’adozione di un piano regolatore, De Sanctis richiamava l’urgenza di adatti criteri della nuova urbanistica, con il rispetto delle esigenze del traffico moderno, dei motivi ornamentali e delle necessità igieniche. Il Comune aveva già iniziato le trattative per la costruzione di una strada che, partendo dal ponte di Cartecchio, e attraversando il Villaggio Matteotti, raggiungesse la sponda del Vezzola e rendesse così facilmente accessibile la zona di ampliamento delle Coste Sant’Agostino.
L’Amministrazione Comunale stava insistendo presso il Ministero dei Lavori Pubblici affinché l’ANAS realizzasse la specificata variante e l’ANAS aveva risposto che per la costruzione del nuovo ponte occorrevano 200 milioni, perciò occorreva attendere tempi migliori. Il problema era stato già sollevato nel 1939 e riconosciuto come di vitale importanza per Teramo, perché la nuova area, urbanizzata, sarebbe diventata “un cantiere sonante di nuove costruzioni per alloggi ed abitazioni di ogni tipo, facilitando così lo sviluppo logico edilizio”. Era indispensabile, concludeva l’articolo, che l’ANAS si decidesse a realizzare la nuova variante esterna al centro storico della città, per facilitarne lo sviluppo ed eliminare la persistente crisi degli alloggi e delle abitazioni, che era la piaga dominante di Teramo.
Come sappiamo, di ponti ne furono poi realizzati due, e diventarono complessivamente tre. Sulla validità della scelta urbanistica, ogni teramano di oggi può fare le proprie riflessioni, valutando ex post quali sono stati i vantaggi e quali gli svantaggi dell’edificazione delle Coste di Sant’Agostino. Ma un cosa il teramano d’oggi dovrebbe fare: prendere una cartolina o una fotografia che mostri come si presentavano le Coste Sant’Agostino da Piazza Garibaldi nel 1952 e come si presentano oggi. Le valutazioni a tanti anni distanza vanno fatte confrontando le due fotografie.