Non s’era compiuta l’unità d’Italia, si era nei primi mesi del 1861, mancavano ancora Roma, Trento e Trieste, che già sui giornali chi parlava delle splendida di gettare un ponte tra Messina e Reggio Calabria, collegando così la Sicilia al continente. Come si sa, dal 1861 sono passati molti anni, ma il onte tra Messina e Reggio Calabria è ancora soltanto un’idea, di cui si torna assai spesso a parlare, sì che s’è consumato un mare di inchiostro. C’è un’altra splendida idea di cui da tanti anni si torna assai spesso a parlare e ha fatto consumare un mare altrettanto vasto di inchiostro, ma non si mai concretizzata, e riguarda noi teramani. Non era stata ancora inaugurata la ferrovia Giulianova-Teramo (lo sarà il 15 luglio 1884), quando mesi prima, sabato 19 aprile 1884, in un articolo del “Corriere Abruzzese” già si parlava della splendida idea di collegare con una linea ferroviaria non Teramo e L’Aquila, come spesso si tornerà a dire, ma addirittura Teramo con Roma. E non ci si limitava a parlare dell’idea, perché avveniristicamente ci si spingeva a delineare il percorso e poco mancava che addirittura si presentasse un vero e proprio progetto. Inutile dire che anche questa idea delle ferrovia Teramo-Roma non si è mai realizzata (nemmeno nella sua formulazione meno pomposa di Teramo-Capitignano), ma è anche giusto dire che ancor prima del 1884 la sua idea aveva occupato la mente di governanti e parlamentari, sì che già nel 1846 di quel tratto ferroviario, con tanto di idea generale del percorso, era stato oggetto di discussione nel parlamento napoletano. Vediamo allora quale avrebbe dovuto essere il percorso che la ferrovia avrebbe dovuto seguire per andare con una carrozza ferroviaria da Teramo a Roma, una volta che fosse stata realizzata, e stava per essere inaugurato, il tratto ferroviario da Giulianova a Teramo. Leggiamo cosa scriveva il “Corriere Abruzzese” il 19 aprile 1884.
Dunque, i binari ferroviari sarebbero usciti dalla stazione di Teramo con un ponte sul Vezzola, non molto lungo perché si sarebbe fatto un terrapieno e il Vezzola sarebbe stato incanalato, secondo le pratiche già in atto e il letto sarebbe stato ridotto ad una larghezza del letto di soli 40 metri, poi avrebbero aggirato l’orto della Madonna delle Grazie passando sulla sponda destra del Tordino con un altro ponte tra le case Flastella e Carnassale. La discesa sarebbe stata inferiore al 15%. I binari avrebbero poi costeggiato la sponda destra del Tordino con una salita del 25% arrivando fin sotto Frondarola, attraversando terreni comodi, tutti fertili e coltivati, senza frane e grossi valloni. Sotto Rocciano e Frondarola sarebbe sorta una stazione intermedia, per il commercio di frazioni quali Valle San Giovanni, e le altre della vallata del Tordino: Ripa, Rocciano, Spiano, Collevecchio. Dalla detta stazione intermedia la ferrovia avrebbe proseguito dopo una galleria di 1.500 metri su terreno argilloso scendendo al 25% lungo il Fosso Zolfo fino al Vomano, di cui avrebbe risalito la sponda destra mercé un ponte, e poi avrebbe proseguito salendo per tre chilometri al 10% fino alla strada per Tossicia, dirimpetto a Montorio. Qui, ad un’altezza di 270 metri sul livello del mare, sarebbe sorta un’altra stazione intermedia, di una qualche importanza, perché, oltre al commercio di Montorio (cittadina situata in una zona fertilissima dove c’erano cave di pietra arenaria da taglio e di legnite, molti allevamenti di animali di ogni specie, possibilità di impiantare opifici) c’era lo sbocco di diretto di Tossicia, Isola e Castelli, paesi “di molto commercio”. Da Montorio, la ferrovia avrebbe proseguito sempre lungo la sponda destra del Vomano salendo al 30% fino a Nerito per 18 chilometri, raggiungendo gli 800 metri sul livello del mare. In questo tratto si sarebbe potuto prevedere una stazione intermedia a Fano Adriano, che sarebbe stata utile per le ascensioni al Gran Sasso, e un’altra a Nerito. Il terreno era abbastanza pianeggiante, in molte parti pianeggiante, ma non privo di rocce, valli e massi sciolti, per cui sarebbero occorsi piccoli trafori e viadotti. Era certamente il tratto più difficile da realizzare, “ma non affatto di molta gravità”, tra boschi di faggi, querce, castagni, aceri e allevamenti di pecore, capre, buoni e maiali. Da qui cominciavano l’emigrazione dei contadini verso l’agro romano in determinate epoche dell’anno e quella verso le Puglie di grosse mandrie di animali, che poi tornavano d’estate, qui il prodotto dei campi era insufficiente per la popolazione, costretta ad importare i viveri. Da Nerito la ferrovia, salendo al 28%, avrebbe raggiunto quasi 1023 metri sul livello del mare dopo un percorso di 6 chilometri, portandosi al confine con l’aquilano, alla capanna dell’Ortolano, su un terreno simile al precedente, ma più stabile. Dalla capanna dell’Ortolano la ferrovia si sarebbe portata alle sorgenti del Vomano, salendo al 24% per 7 chilometri, raggiungendo la quota massima di 1.200 metri sul livello del mare, percorrendo terreni boschivi, in massima parte appartenenti al Marchese Cappelli, rinomato per le razze di cavalli, muli e buoi, terreni pianeggianti, comodi, piuttosto facili per costruirvi una linea ferrata. Dalle sorgenti del Vomano la ferrovia sarebbe arrivata al Vallone delle Casasse, avrebbe aggirato le colline di Paganica davanti a Montereale, scendendo fino a Marano, quota 791 sul livello del mare, con pendenze dal 5 al 28%, per 16 chilometri. Le campagne erano fertilissime, c’erano industrie di animali, formaggi, legnami, era una zona rinomata anche per la fiera di Monterale, che nel mese di settembre durava 10 giorni e attirava visitatori perfino dalla Francia. I paesi della bella pianura di Montreale erano disseminati a gruppi: Paganica, San Giovanni, Castelli, Capitignano, Mapolino, Sivigliano, Pago, Colle Noveri, Murignano, Cesarino, Cavagnano, Cavallaro, Colle Calvo. Un’unica stazione, a Paganica, avrebbe servito tutti questi centri. Da Marano la ferrovia avrebbe potuto collegarsi con quella già progettata che da Aquila proseguiva per Antrodoco e Rieti, ma assai più facilmente la si sarebbe potuta far proseguire, su una pianura quasi perfetta, per Barete, Pizzoli, Sassa, Tornimparte, con un costo assai minore. L’autore dell’articolo, N. Palombieri, concludeva dicendo che aveva già proposto la soluzione da lui proposta al deputato Cerulli, il quale non solo non l’aveva disapprovata, ma l’aveva consigliata a chi doveva fare il progetto. Il sig. Garneri. Non vedeva l’ora di vederla attuata al più presto la sua proposta. Nella sua tomba la sta ancora aspettando… la ferrovia Teramo-Roma (o almeno la meno pomposa Teramo-Capitignano).
ELSO SIMONE SERPENTINI