Qual è uno dei più gravi problemi della Teramo di oggi? Almeno del centro storico? Beh, se ne lamentano tutti. Quando c’è in centro qualche evento, specie se si beve birra, per qualche aperi-street o cose del genere, tutte le vie del centro storico diventano degli orinatoi a cielo aperto, ogni portone è buono a fare da vespasiano e come tale viene usato. Si vedono scivolare lungo le vie del centro rigagnoli dorati, ma maleodoranti, che danno veramente un cattivo spettacolo di sé. I teramani di oggi, sono certo, sono indotti a pensare che si tratti di un fenomeno “moderno”, per lo più sorto da quando sono stati eliminati i vespasiani, gli orinatoi pubblici, e da quando i bagni chimici di fattura moderna sono sempre più una chimera che una realtà. Ma i teramani di oggi si sbagliano. Intanto diciamo che nella Teramo antica i vespasiani non c’erano. Certamente doveva averne la Teramo romana: non per nulla quelle costruzioni portano ancora il nome di un imperatore romano, e rendevano pure qualcosa, perché costavano un tot, tanto che si diceva “pecunia non olet”, cioè se puzzava l’orina, non puzzava il denaro che se ne ricavava.
Nella Teramo medievale i vespasiani forse non c’erano, erano stati già eliminati, e, insomma si urinava un po’ ovunque, anche nel centro storico. In mezzo alla strada si buttavano la mattina i vasi da notte ripieni di urina e feci, tanto che i mattinieri dovevano stare attenti a non essere sommersi da piogge dorate che calavano dalle finestre. Anche nei secoli successivi le cose non andarono meglio, perché dentro le case i bagni non c’erano e ciò che veniva prodotto la notte andava poi eliminato di giorno e lo si faceva gettando le immondizie e altro dalle finestre. I primi “cessi” vennero costruiti verso la fine dell’Ottocento a Porta Romana, ma erano così stretti che gli altri teramani, quelli abituati a fare i propri bisogni in “campo largo”, cioè nei campi, per prenderli in giro, quelli che abitavano a Porta Romana li chiamavano “li cacall’impite” (caca in piedi). Un soccio al quale il padrone aveva costruito una nuova casa colonica, con tanto di bagno interno, si offese e gli disse: “Gnore patrò, ma lu cesse prubbje dantre a la case me l’hi masse?”. Insomma, se sfogliamo i giornali teramani di fine ottocento e di fine novecento, ci capita spesso di leggere articoli che trattano dei “rigagnoli d’urina” che attraversavano le strade e richiami degli amministratori alla popolazione con tanto di minacce di multe e sanzioni salate. Sul “Corriere Abruzzese” del 5 gennaio 1884 ne compariva uno che denunciava che l’arco del vescovo, sì, l’arco di monsignore, quello poi abbattuto perché non ci passava il tram (come si diceva, ma forse non era stato quello il motivo dell’abbattimento) era “il più antiestetico arco esistente a Teramo”. Perché? Ma perché scorrevano sempre sotto l’arco “ammorbanti rigagnoli d’orina dall’una parte e dall’altra”. Ma non c’erano gli orinatoi? Sì, ce ne stava uno proprio vicino, a sinistra, ma era situato male ed era insufficiente. A destra mancava del tutto. Il giornale scriveva di non sapere se le guardie municipali avessero fatto mai una contravvenzione “ai molti produttori dei lamentati rigagnoli”. Eppure era un punto frequentatissimo della città, e tutti desideravano che si togliesse in un modo qualsiasi quella indecenza. Sono le stesse cose che spesso scrivono i giornali teramani di oggi, dopo ogni festa in piazza. Urina comunque, rigagnoli in ogni dove. Non sotto l’arco del vescovo, ma solo perché l’arco del vescovo non c’è più e certamente non fu abbattuto perché qualcuno o molti ci urinavano sotto.
ELSO SIMONE SERPENTINI