“Il Messaggero” del 13 febbraio 1953 pubblicava un articolo di Nino D’Amico intitolato: “Il Liceo Musicale Braga gloriosa istituzione teramana”. Il perché dell’articolo veniva spiegato nell’occhiello, che diceva: “Torneranno giorni migliori”. Era evidente che quelli che si vivevano non lo erano, anzi, forse erano i peggiori. L’istituto stava vivendo uno dei ricorrenti periodi di difficoltà: essendo un istituto solo pareggiato e riconosciuto ma non a spese dello stato, viveva solo del contributo degli enti pubblici, i quali stavano stringendo i cordoni della borsa e quindi mettendo in pericolo la sopravvivenza del “glorioso” liceo. Il sommario auspicava che il liceo potesse diventare l’auspicato centro di studi musicali della regione, con la ripresa di quei programmi musicali di cui Teramo era andata sempre giustamente fiera. Il problema del liceo musicale era tornato di attualità, scriveva D’Amico, e parlarne poteva sembrare di fare un discorsetto di circostanza, di quelli che si recitavano davanti ad un morto. Si dava l’impressione di continuare a parlare vanamente, mentre il povero liceo musicale agonizzava. Parodiando l’Amleto di Shakespeare, D’amico si chiedeva: “Farlo vivere o non farlo vivere? Questo è il problema.” Alla soluzione del problema del liceo musicale erano particolarmente interessanti novanta teramani su cento. Nella faccenda la politica non c’entrava, o almeno così sembrava, ma si trattava di salvare una delle più illustri istituzioni cittadine e per salvarla le chiacchiere non bastavano. Ci volevano i fatti, anzi, i mezzi. Molti finti sordi potevano sentire o non sentire e a loro beneficio l’articolista faceva una breve storia di come era cominciato il dissesto.
La prima cosa da dire era che il dissesto del liceo musicale era cominciato con il dissesto del Comune di Teramo, che insieme alla Provincia aveva il compito di sostenerlo. Certe istituzioni, benché troppo dispendiose, non potevano avere vita effimera. E invece erano evidenti i guai del liceo musicale, le preoccupazioni di chi voleva farlo sopravvivere, i giusti risentimenti dei professori senza stipendio, i salti mortali del povero e coraggioso segretario, che non sapeva più a che santo votarsi. L’istituto sembrava inesorabilmente avviato alla fine. Sorgeva spontanea la domanda. Gli altri enti che facevano? Il Comune era fuori causa perché senza mezzi, rimaneva la Provincia, unica e sola erogatrice di fondi. E la Provincia aveva ultimamente portato il problema all’esame del Consiglio, s’era detto che bisognava intervenire, dopo il fallimento di una specie di consorzio ideato dall’attuale commissario del liceo, era stato proposto di far entrare nel consorzio stesso tutti i Comuni del teramano e intanto di affidare all’Amministrazione Provinciale la gestione temporanea dell’istituto. La proposta era basata anche su motivi di praticità e di cautela amministrativa. Era stato approvato un ordine del giorno favorevole alla proposta e su di esso si era fondata la speranza di chi sognava che il liceo musicale teramano tornasse a vivere e forse a rivedere giorni migliori, quelli di meritato splendore. Bando, dunque, alle chiacchiere, scriveva D’Amico, bisognava provvedere con i fatti, e, anche se l’opinione pubblica era divisa, non si poteva respingere la proposta di un ente florido come la Provincia, nonostante le prevenzioni di molti. Esso avrebbe potuto preludere ad un assorbimento, che sarebbe stato visto assai favorevolmente dai professori e dagli studenti. Sarebbero finiti i giorni d’ansia e la sfiducia si sarebbe trasformata in desiderio indomito di cooperazione. Occorreva, però, abbandonare prevenzioni e timori, e sperare che il liceo musicale, rinato, potesse diventare l’auspicato centro di studi musicali della regione.
ELSO SIMONE SERPENTINI