Nella sua “Introduzione storico artistica agli studi del piano regolatore della città di Teramo” (Teramo, Casa Editrice Tipografica Teramana, 1934-XII) Luigi Savorini ricostruiva a grandi linee le diverse distruzioni di Teramo avvenute nel corso dei secoli e le successive ricostruzioni. La prima distruzione di Interamnia, che viveva tranquillamente la sua modesta vita nel pacifico ordinamento dell'impero, era stata quasi totale e risaliva al principio del secolo quinto, una quasi totale distruzione, per opera dei Goti di Alarico, che aveva distrutto ben 25 città romane del Piceno.Gli strati più inferiori delle rovine di Interamnia sono serbavano tracce di quell’incendio. Passato quel terribile flagello, gli Interamniti superstiti, si erano posti a riparare alla meglio i danni subiti e la città era risorta, ma non più bella e ricca, sulle sue stesse rovine, nell'ambito dell'antico perimetro. I grandiosi edifici originari, abbattuti da barbari, erano stati rifatti alla meglio, con massi presi qua e là. La nostra era stata ricostruita alla meglio sulle sue rovine, ma con diverso andamento delle vie e conseguentemente con diversi allineamenti degli edifici, entro limiti più ristretti, con la parte estrema del confluente su un denudato pianoro, poi detto pianura di Sant'Angelo dalla badia benedettina di Sant'Angelo delle Donne, in seguito Chiesa e Convento della Madonna delle Grazie. Un altro fosso era stato praticato, a scopo di difesa, tra i due fiumi, fuori di Porta Reale e si era costituito così il “castrum. Più che di rifare una città si era costruito un campo trincerato, inoltre il nome di Interamnia era stato mutato in Aprutium, corruzione del classico nome Praetutium già indicante la regione. Erano trascorsi quasi duecent'anni di vita oscura, rimasta avvolta nelle più fitte tenebre, e la città era entrata a far parte del territorio di Fermo, quando erano comparsi i Longobardi. Il loro ingresso non era stato senza resistenza, tuttavia essi non avevano fatto gran guasto e non avevano distrutto la città, anche se, osservava Savorini, sostenere come faceva Muzi che l’avessero ricostruita forse era troppo.
Per circa quattro secoli la città era rimasta se non tranquilla, per lo meno inalterata, quando a metà del secolo XII era stata messa a ferro e fuoco dal conte Roberto di Loretello. Fiera ed eroica era stata la resistenza dei teramani, ma la città era stata bruciata e spianata, come dimostravano ancora dopo secoli le tracce di un vasto incendio nella chiesetta di S. Anna dei Pompetti con l’antica Torre Abbruciata. Ottenuta dal nuovo Re Guglielmo la concessione di riedificare la città, il vescovo Guido aveva lasciato Castel S. Flaviano (poi Giulianova), ove s'era riparato, ed era tornato a Teramo a rianimare la popolazione superstite, che aveva persuaso a rientrare in città e a ricostruire alla meglio le abitazioni. Non potendosi riedificarel’antica cattedrale senza soverchie spese, ne era stata costruita una nuova più a settentrione, utilizzando un'altra chiesa che, con Santa Maria a Bitetto, era scampata alla totale rovina e che con poco dispendio si poteva risarcire, utilizzando nella “tumultuaria costruzione” i resti dei vicini edifici romani, il Teatro e le Terme. La città era risorta, ma con le tracce del danno patito, con l'aspetto misero, meschino delle sue case umili e mal fondat, con la mancanza di proporzionate fondamenta, una insufficiente mistura di calce, un grossolano e povero modo di fabbricare. La prima risurrezione d'Interamnia, dopo l'incendio gotico, aveva elevato il piano della città di circa mezzo metro, la seconda risurrezione, dopo l'incendio normanno, l’aveva portata a m. 2,65, con una differenza di livello tra l’uno e l'altro strato è di almeno due metri.
Savorini inseriva questa sommaria cronistoria delle devastazioni e delle ricostruzioni di Teramo perché riteneva che se ne dovesse tenere conto nel momento in cui ci si apprestava a definire uno strumento urbanistico come il piano regolatore, che di quella storia doveva necessariamente tenere conto. I teramani di oggi sanno che, invece, gli strumenti urbanistici e di pianificazione territoriale che si sono succediti anche dopo la morte di Savorini non solo non ne hanno tenuto conto, ma hanno previsto e comportato abbattimenti che hanno avuto il segno di ulteriori “devastazioni”, di importanza non inferiore a quelle causate dalle invasioni barbariche e dalla sciagurata azione militare di Loretello. Sono scomparsi edifici di pregio, non solo quei pochi rimasti del periodo medievale, ma anche molti del cinquecento, del seicento, e dell’ottocento, finché si è posto mano all’abbattimento anche di quelli del primo novecento. Teramo è stata riedificata senza conservare la propria identità e i segni della propria storia, diventando una brutta anonima città come tante altre, senza elementi distintivi, disegnata e progettata da urbanisti e progettisti pubblici e privati che hanno danneggiato la città non meno di Alarico e Loretello.
Elso Simone Serpentini