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PrefikOgni volta che leggo i messaggi di commiato per una persona scomparsa, mi viene l'orticaria.
L'odore di santità, concesso a palmate a chiunque abbia avuto qualche rilievo, oltre ad essere una desolante stonatura provinciale, è il trionfo dell'ipocrisia, la plastica e malcelata rappresentazione della doppiezza.
Come diceva Totò, la morte è una livella ma il grande comico non poteva immaginare quanto fosse vera la sua affermazione se riferita alle lacrimose parole dei lacrimanti d'occasione: non si fa mancare a nessuno una parola buona, non si nega a nessuno l’omaggio contrito.
Per carità, nessuna obiezione al riconoscimento pubblico dei meriti e delle virtù di chi ci lascia ma è il modo che ancor m'offende...
È, questa, una deriva che fa sembrare il commiato un esercizio di retorica e il saluto un profluvio di scontata bontà parolaia. Spesso utile più alla sperata fortuna di chi lo scrive che al dovuto riconoscimento di chi se n'è andato. 
Suona un pochino fastidiosa quella ricerca della benevolenza che si insinua tra le righe , le lacrime, gli addii..   
L’impressione è che si scriva a nuora perché suocera intenda, cioè ci si abbandona al più mieloso dei saluti cercando di far breccia negli animi di chi legge; e guadagnare, in tal modo, qualche interessata prebenda.
D’accordo, qualcuno obietterà che il vezzo di cui stiamo parlando, fatte le dovute proporzioni, è d’uso dappertutto: fino a cinque minuti prima della dipartita il caro estinto era magari il più scomodo degli avversari o il più lontano dai pensieri e dalle considerazioni ma al momento della scomparsa, ecco che assurge ad un ruolo insospettato.
Sarebbe invece cosa buona, evitare di rincorrere pacchianamente la propria emozionata visibilità  e smarcarsi da una pratica che palesa e trasuda imbarazzante tornaconto.
Mi si perdonino queste righe all’apparenza spietate ma esse lo sono meno del cordoglio di professione.
AMLETO