Ci sono parole che, da un po' di tempo, per il loro frequente utilizzo, la ricercata enfasi, l'apparente appropropiatezza, la sperata magniloquenza, suonano antipatiche e strumentali. Ne cito alcune: interlocuzione, inclusione, contezza, storico, trasparenza, resilienza.. (lo so, ne mancano altre).
Le sento pronunciare da più parti, declinate sempre con la giusta enfasi. Così l'interlocuzione è felice, l'inclusione è dovuta (se non obbligata) , la contezza è chiara, la trasparenza è assicurata, la resilienza resiste e l'assurgere a storico è effetto che si sparge pure sui nuovi cassonetti della spazzatura. ..
Ogni volta mi piacciono sempre meno, come se sentirle anziché favorire la loro comprensione e la comprensione del contesto in cui sono inserite, mi deviasse altrove. È come se percepissi che non vengono finalizzate a chiarire, spiegare, illustrare - in una parola semplificare - ma solo a dar luce a chi le pronuncia. Naturalmente non mi riferisco alla loro comprensione letterale ma ad un utilizzo che in realtà a me pare stucchevole e insidioso. Stucchevole perché il vuoto che sostanzia tale apparente proprietà di linguaggio, sembra fare appello ad una emotività ruffiana; insidioso perché in fondo sappiamo che non è raro gettare fumo negli occhi degli altri per nascondere verità scomode.
Perciò più che evoluzione direi che si assiste al fenomeno inverso: una involuzione del pensiero e della comunicazione. È come se si marcasse implicitamente la differenza tra chi detiene favorevoli posizioni economiche, sociali, culturali, politiche e chi è mero e inerme ricettore dell'insano verbo della menzognera verità.
AMLETO