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gwmkvbpzaanlmzg94rrj.jpgQualche giorno fa sono incappato in una situazione che, a dirla tutta, non mi è sembrata affatto sconveniente. Passeggiando lungo le strade della città, ho visto seduti ai tavolini esterni di un caffè, alcuni extracomunitari, forse appartenenti a due famiglie, entrambe composte da uomini, donne e bambini; atteggiamenti e modi erano dignitosi e mi sono compiaciuto di uno stile così attento. Poco dopo, altro scenario, diverso. Ho incrociato alcuni ragazzotti, probabilmente di origine araba, che, vocianti, un po’ spacconi e finanche strafottenti, percorrevano la strada quasi con fare di sfida. E, ancora, poco dopo, mi sono riflesso nelle vetrine di uno dei sempre più numerosi negozi che spuntano con costante frequenza, gestiti da cinesi, extracomunitari o persone comunque di etnia non italiana; attività che sostituiscono quelle dei nostri commercianti, sempre più costretti, invece, a chiudere tristemente i battenti dei propri negozi, Ora perché invito ad alzare lo sguardo su questo stato di cose? Per un motivo che è dinanzi agli occhi di tutti: ormai esistono due città dentro gli stessi confini. Quella dei teramani che, da sempre oppure per scelta, si sono accasati tra Tordino e Vezzola, e quella di chi si ritrova qui casualmente, trapiantato in virtù dei flussi migratori, con il malcelato imperativo di affermare la propria
identità. Sono due città che non hanno relazioni, scambi, confronti. Così la convivenza è subita, la coabitazione non è facile, la diffidenza si fa forte. Due città, delle quali non sappiamo intuire gli sviluppi né gli scenari futuri, sebbene una di esse paia farsi sempre più preponderante, nella presenza e nella visibilità. E l’antica bonomia teramana, condita istintivamente di scetticismo e disincanto argomentati con ironia, fa ora difficoltà a digerire uno stato dei fatti che pare inarrestabile. E allora noi continuiamo a camminare per la nostra strada, sbuffanti e increduli, magari scrollando il capo e abbandonandoci ad una rassegnazione più forte di noi; loro intanto, entrano sempre più di forza dentro una realtà che muta Paesi e città. L’impatto con la nuova dimensione sociale, è sicuramente imponente, nonostante la precarietà delle condizioni di vita e quelle di inserimento siano il rimbalzo negativo di inutili programmi elettorali e ipocrite coscienze egualitaristiche. Odio parole come integrazione o inclusione, finte come chi le pronuncia ad arte, ma so che difendermi da tutto ciò con una risata (come era, ho appunto detto, nostro costume), non basta ad arginare l’epoca che cambia. Ecco, la teramanità forse non basta a salvarci. E perciò, non rido più.

AMLETO