Giacobbo fa presente al suo misterioso interlocutore che poi, al contrario di quanto aveva detto, se lo è messo il cappello. Ha fatto bene, perché “’ssa sotte ce tire ‘na filippìne”. Che se lo voleva risparmiare il cappello? Non lo sa che “a stu monne chi sparàgna spreche”? Per risparmiare il cappello voleva “’mpruntà la cocce”? E se si ammala dopo? “Lu cappelle è la pane! Che pare che nen vanne cchiì?” “Jà scurte li cappille a lu cappellare?”. Sabato ne può comperare quanti ne vuole. Di ogni tipo sono appesi sotto la bancarella. Certamente ci sarà anche il cappello per “Caddàne”, che ha bisogno di un cappello grande, considerata la grandezza della sua testa. Deve stare attento a che il vento non se lo porti via, il cappello “gne cape” e lo porta “’mpizze ‘mpizze”. Dove lo trova Caddàne un cappello che gli sta bene? Gliene serviva una per mietere ai tempi di guerra e il giovedì alla fiera di Ponte Vomano ne aveva trovato proprio uno che gli andava bene. Lo aveva visto e “’ngiarcapàve pe’ la contentezze”, lu fratelle “l’avè ‘rchiamate Musuline, lu sole cuciave, statte ambò sotte a lu sole, li capilli su ‘ncocce poche e ninde.”. Quando lo aveva visto si era “vruccàte” ma, quando aveva sentito il prezzo, doppio degli altri cappelli, “lu core je ne calò sott’a li pite”. Caddàne la mano in tasca non se la metteva volentieri e così aveva mercanteggiato sul prezzo. Il resto del monologo-dialogo è una sorta di trattazione sul cappello da tenere in testa e da comperare.
ELSO SIMONE SERPENTINI