«Fu una operazione oscura impostata dalle figure apicali e poi affidata alla base». Con questa analisi il pm Enrica Medori ha ricostruito mettendo insieme i fatti e i pronunciamenti della Cassazione, sia civile sia penale, nel processo teramano ormai alle battute finali per la presunta truffa con le azioni ex Tercas mentre a Roma è in corso quello per il crac della banca.
La conseguenza dell'analisi è la richiesta di condanna per i vertici, direttori e vice direttori, l'assoluzione per semplici dipendenti. A cominciare dai sei anni chiesti per l'ex direttore generale Antonio Di Matteo e l'ex dirigente dell'area finanza Lucio Pensilli; dai quattro anni per Alessio Trivelli (all'epoca responsabile dell'area commerciale) ai due chiesti per Piero Lattanzi e Franco Maiorani (all'epoca responsabile del servizio privati e del servizio finanza).
L'accusa per tutti è quella di aver venduto ai clienti azioni spacciandole per investimenti a un anno con un rendimento garantito. I fatti contestati risalgono al 2011, prima del commissariamento della banca avvenuta nel 2012, con l'inchiesta partita dalle denunce presentate da alcuni risparmiatori che lamentavano di essersi ritrovati con niente in mano. E a loro, ai tanti che in questi mesi hanno raccontato come testi le loro storie insieme a molti ex direttori che hanno sottolineato come in quel momento la banca fosse solida e quindi nessuno ipotizzasse un commissariamento, il pm fa riferimento quando tratteggia i contorni di una truffa contrattuale e nell'ambito di questa delinea ruoli e responsabilità partendo da un dato che fa da trave alla requisitoria: «Non si può mettere in capo al contraente debole, cioè il cliente, l'obbligo delle verifiche».
E per questo ha citato la relazione Consob in cui si evidenzia, dice «il totale spregio di trasparenza e degli interessi dei clienti». Non risparmia accuse pesanti all'ex direttore Di Matteo che più volte definisce «il comandante che abbandona la nave che affonda». A lui mette in capo quella che chiama «operazione imprudente per dirla con un eufemismo».
Queste le richieste fatte dal pubblico ministero Enrica Medori per i 28 imputati tutti accusati di truffa in concorso:
sei anni per Antonio Di Matteo (all'epoca dei fatti direttore generale); sei anni per Lucio Pensilli (all'epoca responsabile dell'area finanza); quattro anni per Alessio Trivelli (all'epoca responsabile dell'area commerciale); due anni per Piero Lattanzi ( all'epoca responsabile del servizio privati ); due anni per Franco Maiorani (all'epoca responsabile del servizio finanza); sei mesi per Fabrizio Di Bonaventura; sei mesi per Maria Gabriella Calista; sei mesi per Rosanna Arcieri; sei mesi per Franca Marozzi; sei mesi per Pietro Sciarretta; sei mesi per Nicola Celli; sei mesi per Valentina Angelozzi; sei mesi per Maria Luisa Ferri; sei mesi per Enrico Robuffo; nove mesi per Silvana De Sanctis (questi ultimi dieci con ruoli che all'epoca dei fatti andavano da quello di direttori a vicedirettori di filiale fino ad addetti alla riprofilatura dei clienti).
Per sei di questi ultimi imputati per i quali è stata chiesta la condanna è stata comunque chiesta anche l'assoluzione per alcuni capi di imputazione. Chiesta invece l'assoluzione totale per altri 13 dipendenti finiti a processo: Marco Nardinocchi, Maria Lucia De Laurentiis, Monica Di Luciano, Luca Ettorre per non aver commesso il fatto, Christian Torreggianti, Elena Malatesta, Carlo Pavone, Giancarlo Stacchiotti, Lidia Mazzocchitti, Rosanna Rastelli, Maria Carmela Valentini, Danilo Ranalli e Marinella Petrini perché il fatto non sussiste.
Si torna in aula il 28 giugno con le ultime arringhe difensive.