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Stragecapaci teca auto2 montinaroAntonio Montinaro era il caposcorta di Giovanni Falcone. E' morto a Capaci. Questa è la lettera che gli ha scritto sua moglie, e che pubblichiamo in occasione dell'arrivo a Teramo, nell'ambito delle iniziative del Premio Borsellino, della Quarto Savona quindici, l'auto di scorta al giudice, oggi monumento della lotta alla mafia, che sarà in piazza Martiri giovedì 9 dalle 10 alle 13.

 

Caro Antonio,
marito mio, questa è una lettera per te…. Anche se una bomba ti ha dilaniato il 23 maggio di ventisette anni fa a Capaci mentre scortavi Giovanni Falcone da Punta Raisi a Palermo. Con te sono saltati in aria gli agenti scelti del reparto scorte della Polizia di Stato Rocco Dicillo e Vito Schifani. Avevate 30 anni. Beh, vuoi sapere cosa è successo in questi ultimi ventisette anni? Non è proprio semplice da spiegare e sinceramente credo ci vorrebbero 100 lettere e 1000 pagine per poterlo raccontare, ma cercherò di darti un’idea. È cambiato tanto, non c’è dubbio; dopo la tragica esplosione a Capaci, la coscienza degli italiani sembrava essersi risvegliata. Ci volevano le due stragi per portare migliaia di persone giù in strada? Non lo so, non riesco a capirlo, ma è un dato di fatto: da quelle date si è cominciata a sviluppare una genuina coscienza antimafia che però ahimè, ti devo confessare, credo che negli ultimi anni si sia persa.
I familiari delle vittime vanno nelle scuole, e vengono molti magistrati che hanno voluto e saputo leggere il messaggio genuino e illuminante di Falcone e Borsellino: “La lotta alla mafia dev’essere innanzitutto un movimento culturale che abitui tutti a sentire la bellezza del fresco profumo della libertà che si oppone al puzzo del compromesso morale, dell’indifferenza, della contiguità e quindi della complicità”. Molti ci invitano per parlare a ragazzi che in quegli anni non erano ancora nati.
Ma molti professori, e molte istituzioni, non vogliono che gli studenti sappiano, vedano, capiscano. Molti hanno dimenticato chi è morto per lo Stato. Molti erano contro Falcone in vita, lo sono ancora oggi chiudendo gli occhi e la bocca, con la strategia del silenzio. Non partecipando. Uccidono ancora, con l’indifferenza. E così molti giovani sanno tutto sull’uso di un telefonino, tutti su “Amici” e “L’Isola, sanno le lingue, fanno tutti gli sport, ma ignorano chi furono Falcone e Borsellino. Perché sono morti. Anzi, perché sono stati uccisi. Infatti la mafia c’è ancora ed è presente più che mai; certo, è cambiata, indossa giacca e cravatta, si è adattata alle circostanze, ha compreso che il terrore non paga e si è inabissata nuovamente nei luoghi più profondi della società. Tutto sembra normale, quando invece di normale non c’era nulla.
Ecco perché oggi giro l’Italia con la “Quarto Savona 15” – così si chiamava la tua auto e la tua squadra – e naturalmente, adesso sono io il caposcorta. Perché voglio parlare ai giovani. E’ necessario che loro sappiano, che loro conoscano, per non lasciarsi sopraffare dalla stessa indifferenza che ci ha portato a quei tanto devastati tempi.
La “Quarto Savona 15” è il simbolo della memoria della strage e uno dei simboli più importanti di lotta alla mafia: quell’auto è lo sfrontato manifesto di morte e terrore della mafia. A distanza di 27 anni dal tragico evento ancora oggi la vettura percorre chilometri per testimoniare la forza della legalità.
Portando la teca da Palermo in Abruzzo , si vuole permettere ai cittadini e soprattutto agli studenti, di rendere omaggio ai ragazzi della scorta di Falcone che viaggiavano su quell’auto che il 23 maggio 1992 fu colpita in pieno dalla deflagrazione e ritrovata distrutta, in un uliveto a cento metri di distanza dal luogo dell’attentato. È un orrore raccontato attraverso una serie di dettagli che fanno storia e che costituiscono memoria.
No, non è stato facile in questi anni. Oggi Gaetano e Giovanni sono grandi, saresti stato nonno, ma le domande sul loro papà e l’assenza in famiglia, i silenzi ed i pianti senza farmi vedere. No, non è stato facile, i conti con me stessa li ho dovuti fare da sola, senza l’aiuto di nessuno. Con quella sofferenza che ho vissuto sulla mia pelle e solo tu, un giorno, potrai lenire ponendo fine a quell’urlo che in me, da ventisette anni, non ha mai smesso di farsi sentire.
Ti bacio Antonio, marito mio.
Tua per sempre, Tina.