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DISPERAZIONE

Se fossimo in un film di spionaggio, ricomparirebbe sul finale, sana e salva, svelando il segreto della sua misteriosa ma temporanea sparizione. La storia leggendaria di Amelia Earhart però non ha un lieto fine. È crudele come sanno essere solo certe storie vere. La più famosa donna aviatrice della storia scomparve misteriosamente con il suo aereo il 2 luglio 1937, vicino all’isola di Howland, nell’Oceano Pacifico. Aveva percorso 45mila chilometri e ne mancavano mille per compiere un’impresa epica, mai tentata da una donna: il giro del mondo. La sua personalità avventurosa, inclusa la misteriosa scomparsa all’età di 39 anni, ne fanno tutt’oggi uno dei personaggi femminili indimenticati della storia. Una donna coraggiosa che ha preso dei rischi, ha cambiato le regole e ha spianato la strada a generazioni di ragazze. Sognava in grande Amelia e la sua mente viaggiava prima e più in là del corpo. Cosa accadde in quell’ultimo volo ? Annegò nell’Oceano ? Fu rapita dai giapponesi, come in una spy story? O, come è stato ipotizzato di recente da studiosi giapponesi, trovandosi a poche ore dal termine del suo ultimo volo e della sua carriera, presa da un vuoto troppo forte, presa dalla disperazione che può dare il non aver più nulla da raggiungere e superare, puntò verso il basso sull’isola di Nikumaroro e si suicidò ?
Un recente post mi ha riportato alla mente questa storia che, - avendo avuto un padre che ha servito la patria in guerra come aviatore – da bambino ho sentito raccontare tante volte.
Secondo gli esperti, al termine di una fase acuta di crisi o di ’epidemia, e soprattutto quando il “nemico” avrà abbandonato il campo di battaglia avremo davanti a noi tutte le conseguenze e le distruzioni che avrà lasciato alle sue spalle con gli strascichi legati  al vuoto che ha generato, al pensiero del pericolo corso e superato; alla elaborazione dei lutti; alle conseguenze economiche, finanziare, lavorative e sociali da affrontare. Al di là dei singoli casi gli studi scientifici dimostrano che ogni qual volta siamo vittime di epidemie, crisi economiche, emergenze internazionali e cataclismi, assistiamo anche ad un incremento dei disturbi di natura mentale che possono portare, nei casi più estremi, a idee di auto-soppressione. Purtroppo in Italia  il tasso di suicidi potrebbe aumentare del 50% rispetto alla media, per i prossimi 5 anni. Se il bilancio delle vittime del Covid-19 nel Paese al momento sembra essersi fermato,  a preoccupare sono le ricadute psicologiche imposte dalle misure di prevenzione e l’inevitabile crisi economica che ne deriverà. E si teme che  ad una prima emergenza di ordine sanitario, possa seguirne una seconda di ordine psichiatrico, fino al rischio concreto di un’ondata di suicidi. Notoriamente, infatti, la fase di “scampato pericolo” è quella in cui la maggior parte dei disturbi si manifesta con un incremento considerevole dei casi di depressione, ansia, disturbo da stress post-traumatico. È importante precisare che ognuno di questi drammatici episodi ha presumibilmente avuto varie cause scatenanti, ma è altrettanto probabile che l’emergenza che stiamo vivendo abbia fatto da detonatore. Che i suicidi e “i morti per disperazione” possano crescere numericamente è dunque un rischio concreto, se teniamo conto della gravità dei traumi che tante persone hanno subito. Ecco perché occorre non solo monitorare tale fenomeno, ma intervenire concretamente. La categoria che questo studio chiama “morti per disperazione”  include non solo persone che si suicideranno ma anche vittime di abuso di alcol e sostanze stupefacenti. Nemmeno le cifre più ottimistiche riescono in questo momento a smentire la ricerca e ci auguriamo che tra qualche anno sarà possibile dire di aver sbagliato.  Perché non è solo il virus e la crisi economica a spaventare e mettere a rischio la vita delle persone: anche l’isolamento forzato è molto pericoloso, soprattutto se prolungato, perché espone a problemi di alcolismo, droghe e suicidi. Ad aprile in Italia sono aumentate le chiamate ai numeri di assistenza psicologica e sono in aumento i casi di violenza domestica. Nella sostanza sono cresciuti i fenomeni di disagio psicologico, in particolare  legati alla perdita di posti di lavoro e alla perdita dei riferimenti sociali e degli affetti stabili. Lo sappiamo, l’emergenza sanitaria che abbiamo affrontato ha sconvolto i paradigmi delle nostre vite innescando alti livelli di paura nelle persone. Lo sappiamo, e il senso di vuoto, di smarrimento può essere in grado di stravolgere l’equilibrio profondo di una persona e di provocare grosse crisi dell’identità personale, la paura è una emozione primaria di difesa, provocata da una situazione di pericolo (reale o no), è un’emozione naturale e funzionale in situazioni di pericolo, quando abbiamo la percezione della presenza di una minaccia ci spaventiamo e il nostro corpo produce adrenalina, l’ormone che induce cambiamenti emotivi e fisici preparandoci all’azione. E reagiamo con l’attacco, quando percepiamo di poter avere più risorse dell’oggetto spaventoso, e poterlo sconfiggere; con la fuga quando la situazione diventa troppo dolorosa o  eccessivamente minacciosa. Purtroppo le persone più deboli sono più portate a fuggire che a reagire. Mollando anche i riferimenti certi, i rapporti d’amore, i porti sicuri, le persone che ci vogliono bene. Non sempre queste fughe aiutano a crescere. Anzi spesso diventano  trappole. A volte si fa in tempo ad uscirne. A volte invece no. E alla paura si sostituisce il lutto. Il dolore.
Leo Nodari