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Giustizia

Dopo l’America anche in Italia si stanno raccogliendo firme di adesione ad un documento che siintitola Lettera sulla giustizia e sul dibattito apertoun importante documento a firma di 150 prestigiosi intellettuali. Di cosa si tratta? Lasciamolo dire al testo: il libero scambio di informazioni e idee, la linfa vitale di una società liberale, viene sempre più soffocato di giorno in giorno

Il tema è quello ampio e profondo della libertà di parola, o meglio del valore di un dibattito aperto in una società democratica. Anche se i firmatari hanno provenienze geografiche diverse, il contesto sociale in cui nasce questa lettera è l’America e più precisamente l’orizzonte degli eventi che si è generato, ed è degenerato, in seguito ai movimenti di protesta per la morte di George Floyd. Giuste rivendicazioni sul tema caldissimo del razzismo hanno mostrato il volto violento di una protesta che per le strade riversa la sua furia contro le statue e nei luoghi della cultura esercita una censura cieca vietato citare certe opere letterarie, messa al bando di film- e spesso violenta.In un paese come gli Stati Uniti questi eventi scuotono alle radici una nazione che fonda, per Costituzione, la propria identità su un atto di indipendenza e sui diritti inalienabili che la persona riceve direttamente dal Creatore. È fondamentale ricordarlo per capire, perché, per quanto nel tempo possa essersi atrofizzata, questa coscienza che mette vita, libertà e felicità alla base della politica segna irrevocabilmente il volto degli Stati Uniti: il dibattito sulla libertà è e resta un nervo scoperto per il popolo americano, più che ad ogni altra latitudine. Proprio per questo il documento in questione può, e sta destandol’attenzione anche del nostro paese sul tema, anche da noi caldissimo, della conformità ideologica da cui siamo braccati. La resa dei conti a cui si fa riferimento riguarda gli interventi di riforma sul tema della giustizia, la cui rivendicazione – giusta in partenza – sta degenerando:i tolleranti sono diventati molto intolleranti e si sono messi a esercitare quelle forme violente di aggressione e censura che essi stessi condannano. Chi ha sentito la necessità di mettere per iscritto questo memorandumChi lo sta proponendo in Italia ? Proprio alcuni esponenti dell’ala democratica di sinistra che hanno sostenuto la protesta anti-razzista e ora si rendono conto di quanto sia pericoloso imporre un regime orientato al pensiero unico senza un’opposizione libera.

Se ce lo saremmo aspettati dalla destra radicale, la censura si sta ampiamente diffondendo anche nella cultura progressista: una intolleranza alle visioni opposte, la moda di esporre al pubblico ludibrio o di ostracizzare, la tendenza a dissolvere complessi temi politici in una accecata certezza morale. Anche in Italia  noi sosteniamo il valore di un robusto - e anche caustico - diritto di replica oppositiva da qualunque parte. Ma ora è fin troppo frequente imbattersi negli appelli a repentini e persino severi castighi, come punizione per discorsi o pensieri percepiti come lesivi. E questo è un vulnus profondo che parla di una forte regressione della nostra maturità umana, sempre più propensa a mettere a tacere alla svelta l’avversario usando l’arma subdola della lesione dei sentimenti personali. E la descrizione di questo clima di caccia alle streghe prosegue con un minuzioso elenco di casi che non sono estranei anche alla cronaca: c’è l’editor che vienelicenziato per aver pubblicato pezzi controversi; ci sono libri ritirati dal commercio per presunte inautenticità; ci sono giornalisti a cui viene impedito di scrivere su certi argomenti; ci sono professori che finiscono sotto accusa per aver letto brani di letteratura in classe; un ricercatore viene espulso per aver fatto circolare la revisione di uno studio accademico; e i capi delle organizzazioni vengono rimossi per ragioni che spesso non sono altro che maldestri errori. Qualunque siano le argomentazioni attinenti a ciascun caso, il risultato è stata una drastica riduzione dei limiti di ciò che può essere detto senza la minaccia di una rappresaglia. Stiamo già pagando un caro prezzo a causa dell’odio che si riversa su quegli scrittori, artisti e giornalisti che temono per la propria vita se osano prendere le distanze dal consenso o addirittura se mancano di sufficiente zelo nel manifestare il loro accordo.

Il re è nudo. Respiriamo anche in Italia questa oppressione da molto tempo, vediamo quotidianamente il volto rapace di una cultura che urla a senso unico e non ospita altro che acclamazioni a se stessa secondo linee guida dei suoi dictatAnche in Italia , da tempo, sentiamo un bavaglio sempre più stretto sulla bocca quando si tratta di esprimersi su temi cruciali come la famiglia, il diritto alla vita, l’eutanasia ed è notevole dunque prendere atto che proprio gli esponenti di quel pensiero dominante che imperversa sui giornali e nella cultura ora si renda conto del grande pericolo di ridurre i limiti di ciò che può essere detto senza la minaccia di una rappresaglia. Anche in Italia ci sono segnali chiari che denunciano quanto sia difficile prendersi la responsabilità di dire ad alta voce queste verità scomode, eppure sacrosante. Uno dei firmatari americani della lettera – tra i principali intellettuali - ha dichiarato che molti suoi colleghi, pur condividendo appieno il contenuto, non se la sono sentita di apporre la firma per paura. A maggior ragione c’è da auspicarsi che l’eco di questo documento susciti reazioni e si guadagni la luce dei riflettori. C’è un ultimo nodo cruciale da evidenziare e sottolineare, ed è contenuto nel passaggio finale della lettera:questa atmosfera soffocante in tutto il pianeta colpirà a morte i temi più vitali che si dibattono nel nostro tempo. La restrizione del dibattito, che provenga da un governo repressivo o da una società intollerante, finisce inevitabilmente per far male coloro che non hanno potere e fanno sì che ciascuno perda la propria capacità di partecipazione democratica. Le cattive idee si sconfiggono con l’esposizione, le argomentazioni e con la persuasione, non mettendole a tacere o facendole scomparire. Bisogna rifiutare che ci venga imposta la falsa scelta tra giustizia e libertà, perché nessuna delle due esiste senza l’altra. Abbiamo bisogno di una cultura che abbia stanze per sperimentare, prenderci dei rischi, e anche commettere errori. Abbiamo bisogno di preservare la possibilità di un onesto dissenso senza tragiche conseguenze professionali.Non esiste giustizia senza libertà, più un tema è vitale per la coscienza di un popolo più merita che il confronto umano sia ospitato in una stanzain cui si discute da veri uomini liberi e coraggiosi. Chesterton disse che gli uomini ché non sanno discuterelitigano, e in effetti siamo pervasi da questo abbaglio clamorosamente fallace per cui chi ha un opinione diversa è percepito come nemico (e dunque va soppresso). Niente di più falso; perché si è profondamente amici anche nel contendere: il dibattito dovrebbe essere la fucina in cui uno scambio autentico fino al midollo non tende a schiacciare l’avversario ma mira a spalancare la finestra della comprensione per entrambi. E l’aria fresca che entra da quella finestra non riempie di ossigeno le redazioni dei giornali, ma la vita dell’uomo comune che è – come ben scritto nel documento – la vera vittima di una cultura inchinata al mainstream e imbavagliata dai lacci stretti dei presunti tolleranti.

Leo Nodari