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negoziocoronaSaracinesche abbassate, lucchetti alle inferriate, porte serrate, fogli di giornale sulle vetrine delle attività abbandonate. Nel commercio e nel turismo ci sono circa 90.000 imprese pronte a chiudere per sempre i battenti già da questo autunno o comunque entro fine anno: bar, ristoranti, negozi, B&B che non sono riusciti a riemergere dallo tsunami Covid, con lo spettro dei nuovi contagi che minaccia anche chi faticosamente si è rimesso in pista. E 20.000 che nel corso di quest'anno non vedranno mai la luce a causa della pandemia.

Si tratta di un colpo senza precedenti al lavoro autonomo, che avrà conseguenze anche sul lavoro dipendente: tra le attività che proveranno a resistere, infatti, quattro su dieci segnalano la necessità di ridurre il personale. Confesercenti conferma le stime di fine estate e lancia l'allarme sulle imprese mai nate, un numero che per il 2020 rischia di arrivare a quota 20.000. "Oggi come oggi, nei primi sei mesi dell'anno il fenomeno principale che emerge è proprio quello della mancanza di nuove aperture", spiega all'AGI Antonello Oliva, responsabile dell'Ufficio Economico di Confesercenti. Per aprire un'attività bisogna investire delle risorse con una valutazione di prospettiva di breve periodo (almeno uno-due anni) ma il momento di profonda incertezza che stiamo vivendo tutti - è il ragionamento - ostacola qualsiasi tipo di investimento in prospettiva per un piccolo o medio imprenditore.

"Nel caso di bar e ristoranti la situazione è ancora più problematica - sottolinea l'esperto - perché l'investimento è più sostanzioso. A maggior ragione ci vuole cautela e in questo momento vediamo che c'è grande difficoltà a investire. I dati dell'Unioncamere ci dicono che nei primi sei mesi dell'anno nel commercio al dettaglio e nei pubblici esercizi abbiamo circa 9.000 neo-imprese in meno rispetto allo stesso periodo di un anno fa. Un fenomeno che si è intensificato dal lockdown in poi perché ovviamente tutti hanno frenato. E a fine anno queste imprese 'mai natè saranno probabilmente almeno 20.000".

Poi ci sono le imprese avviate che sono a rischio chiusura perché gli affari non decollano: "La nostra stima è di circa 90.000 imprese che chiuderanno entro fine anno, forse già in questo 'autunno nero'", afferma Oliva. E a pesare è sempre il fattore incertezza: "Durante il lockdown - sottolinea - c'è stato una specie di risparmio forzoso perché chiaramente i negozi erano chiusi e la gente è rimasta in casa. Alla riapertura però, proprio per l'incertezza che ancora c'è, la spesa è stata molto graduale. Ancora non si sa bene che cosa succederà nei prossimi mesi" e per questo i consumi non sono mai davvero ripartiti. Oltre che per i consumatori, anche per i piccoli imprenditori c'è incertezza: "La chiusura di un'attività è un evento molto traumatico - osserva il responsabile dell'Ufficio Economico di Confesercenti - quindi si cerca di stringere i denti il più possibile, anche di fronte a una riduzione del reddito.

Soprattutto gli imprenditori over 50 hanno maggiore difficoltà a decidere di smettere e stringono la cinghia il più possibile, magari aspettando qualche settimana o qualche mese in più perché poi non hanno molte alternative sul mercato". Ma con i mesi che passano e l'incertezza che resta "in molti non ce la faranno". Confesercenti rappresenta 350 mila pmi del commercio, del turismo, dei servizi, dell'artigianato e dell'industria, capaci di dare occupazione a oltre 1.000.000 di persone.

Istat: 38,8% delle imprese è a rischio sopravvivenza nel 2020

Secondo l'Istat, l'impatto della crisi Covid sulle imprese "è stato di intensità e rapidità straordinarie, determinando seri rischi per la sopravvivenza: il 38,8% delle imprese italiane (pari al 28,8% dell'occupazione, circa 3,6 milioni di addetti, e al 22,5% del valore aggiunto, circa 165 miliardi di euro) ha denunciato l'esistenza di fattori economici e organizzativi che ne mettono a rischio la sopravvivenza nel corso dell'anno".

In un recente focus che ha accompagnato la nota sull'andamento dell'economia italiana, l'istituto statistico ha osservato: "Il pericolo di chiudere l'attività è più elevato tra le micro imprese (40,6%, 1,4 milioni di addetti) e le piccole (33,5%, 1,1 milioni di occupati) ma assume intensità significative anche tra le medie (22,4%, 450 mila addetti) e le grandi (18,8%, 600 mila addetti)". A livello settoriale, la criticità operativa delle imprese riflette la mappa associata ai provvedimenti di chiusura, colpendo in maniera più evidente i servizi ricettivi e alla persona: il 65,2% delle imprese dell'alloggio e ristorazione (19,6 miliardi di euro di valore aggiunto, poco più di 800 mila occupati) e il 61,5% di quelle nel comparto dello sport, cultura e intrattenimento (3,4 miliardi di euro di valore aggiunto, circa 700 mila addetti).

La prospettiva di chiusura dell'attività è determinata prevalentemente dall'elevata caduta di fatturato (oltre il 50% in meno rispetto allo stesso periodo del 2019), che ha riguardato il 74% delle imprese e dal lockdown (59,7% delle imprese). I vincoli di liquidità (62,6% delle unità a rischio chiusura) e la contrazione della domanda (54,4%) costituiscono i principali fattori che hanno inciso sul deterioramento delle condizioni di operatività delle imprese mentre i vincoli di approvvigionamento dal lato dell'offerta hanno rappresentato un vincolo più contenuto (23%). (agi)