L’italiano è uno strumento linguistico utile a dare forma ai propri pensieri, soprattutto nella scrittura.
È una lingua del tutto artificiale, inventata dai poeti, che non arriva dal popolo quindi, come sarebbe invece naturale che avvenga. Per questo la sua grammatica e sintassi sono di difficile uso comune. È, insomma, una lingua formatasi dall’alto e non dal basso, ed è questo aspetto la sua debolezza, al contrario di quello che si potrebbe pensare.
Resta, però, uno strumento validissimo per esprimersi a patto che lo si usi per dire le cose così come ci appaiono e come il nostro pensiero (l’intelligenza) le elabora.
Un buon uso della lingua italiana potrebbe essere quello di concentrarsi sulla cosa che si ha da dire senza cercare di esprimerla complicandola –non bisogna cadere nella stupidità della complicazione insomma: Leonardo Sciascia, commentando la descrizione dell’astruso, improbabile berretto di Charles Bovary da parte di Gustave Flaubert, che lo scrittore francese concludedicendo che quel copricapo sembrava la faccia di un imbecille, usava spesso tornare a questa pagina raccomandando la semplificazione, che non è certo l’insulso a cui ora siamo arrivati, ovviamente, ma è, al contrario, un dire dritto e chiaro le cose.
Ad esempio, tornando all’uso della Nostra lingua artificiale, a volte è molto più efficace l’utilizzo dell’indicativo presente che avventurarsi nella “barocca” via del congiuntivo – la forma verbale più innaturale della nostra lingua, cioè la più lontana al popolo. A proposito ricordo questa estate una simpatica chiacchiera con una elegante signora sulla spiaggia di Roseto degli Abruzzi quando, tra un intercalare dialettale e l’altro, ci trovammo d’accordo sul fatto che, a proposito di un suo invito a raggiungerla a Basciano, è molto più concreto, perché naturale, dire: “Se vengo, ti avviso”, invece di: “Se venissi, ti avviserei” –ecco, già da questo banale esempio di verbalizzazione di un dialogo si evince la comoda e comunque corretta funzione dell’indicativo presente rispetto all’artificiosità della formula dubitativa.
Nasce da questa errata concezione della lingua italiana quest’ultima polemica tra membri del Governo italiano e l’”intelligencija” (parola tutta russa del russo PëtrBoborykin, che descrive già dagli anni ‘60 dell’800 l’intellettuale che porterà il verbo marxista al popolo, preannunciando l’avvento di Vladimir Lenin, che nascerà a Simbirsk solo il 22 aprile 1870, figlio della borghesia russa occidentale) italiana: la lingua va usata come useremmo un cacciavite se necessitassimo di svitare una vite; quindi prenderò direttamente il cacciavite dalla cassetta degli attrezzi e non altri utensili.
Pertanto, al di là (e al di qua) di quello che pensino, dicano e facciano per tirare a campare Nicola Lagioia ed Enrico Galiano, questo testo di Giuseppe Valditara (nella foto, che Galiano, senza tante chiacchiere, avrebbe dovuto valutare con un sonoro2, come farebbe con il primo tra gli ultimi studenti che gli capitasse a tiro), seppur breve, riesce a essere gravemente sgrammaticato e, soprattutto, sintatticamente sbagliato, perciò incomprensibile; e tutto questo sforzo espressivo solo per cercare di affermare un concetto senza rischiare di risultare razzista.
Ecco, consiglierei al signor ministro di limitarsi all’uso dell’indicativo presente così da non aver paura di scrivere veramente quello che pensa, evitando così di intasare i tribunali italiani di altre inutili carte, addirittura quelli civilistici perché, ben consigliato, sa che non ci può essere nessuna offesa diffamatoria nelle quattro parole dette da Lagioia a proposito di questo suo post, che non faceva altro che lamentare che chi vuole seminare la strada di regole, magari poi è il primo a non conoscerle e riconoscerle (basti pensare solo ai film di Charlot, racconto di quest’uomo eterno che si ritrova inadeguato alle sue stesse strutture, quelle che si è dato, quelle dove si è costretto a stare, e allora inciampa, cade e ricade; e tutto questo cos’è se non un importante esercizio di critica, e di autocritica, che è ancor più rilevante), quindi fatto penalmente irrilevante; ma così ugualmente si mina la serenità di criticare legittimamente l’operare del Governo Meloni.
La persona davvero intelligente è quella che riesce, quando si esprime, a farsi comprendere da tutti, a prescindere dal grado di istruzione di chi sta ascoltando, o leggendo.
MASSIMO RIDOLFI