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tribunale-teramo-3Una vicenda kafkiana, quella raccontata dall'avv. Vincenzo Di Nanna subita dal suo cliente P.E., già all'attenzione della Corte europea dei diritti dell'uomo di Strasburgo che, in relazione alla stessa vicenda, aveva in corso d’istruttoria un processo per la violazione degli artt. 5 e 6 CEDU.

E non potrebbe essere altrimenti: l'uomo, infatti, il 10 maggio 2016 è arrestato dai carabinieri di Corropoli (TE) in base a un titolo da ritenersi non più valido, poiché un identico mandato di arresto europeo (MAE) era stato eseguito dalla Germania il 16 febbraio 2015. Di fronte all'istanza di scarcerazione proposta nello stesso giorno dell'arresto, clamorosamente, la Corte d'Appello de L'Aquila decide di “soprassedere”, ritenuto necessario acquisire presso il Superiore Ministero e lo Stato Estero richiedente la conferma di quanto asserito dalla difesa (allo stato non documentato in atti), benché il difensore avesse prodotto copia della ordinanza di scarcerazione emessa dal Giudice del Tribunale di Mons (Belgio), a conferma che l’arrestato aveva soddisfatto i suoi obblighi con la giustizia belga.

L'avvocato allora propone una seconda richiesta di scarcerazione, in cui ricorda che la Corte di Strasburgo stava già esaminando le carte, e precisa che l’uomo, già arrestato in Germania il 16 febbraio 2015, è stato “estradato” in Belgio e scarcerato il 24 aprile. Tornato libero cittadino, P.E. s'imbarca l'8 maggio di quest'anno dall'aeroporto Charleroi, com'è noto fra i più controllati del mondo, per tornare in Italia e finire, inaspettatamente, agli arresti.

Il 17 maggio 2016, finalmente, solo dopo che i giudici hanno acquisito la “conferma” definitiva del Ministero della Giustizia, P.E. lascia il carcere di Teramo.

Una storia che non potrà non avere “conseguenze erariali” per lo Stato italiano, peraltro già sotto processo a Strasburgo per la stessa vicenda.

LA STORIA

Il 12 dicembre 2013, P.E. è arrestato, per la prima volta, a Corropoli (TE) in esecuzione d'un M.A.E. proveniente dal Belgio, mentre si trovava già in detenzione domiciliare per espiare una condanna comminata peraltro dalla stessa Autorità Giudiziaria Belga (Corte d'Appello di Mons il 6 novembre 2008), possibilità concessagli, quale cittadino italiano, dalla nostra Corte di Cassazione.

L’autorità Giudiziaria Belga spedisce, in realtà, ben due M.A.E.: uno relativo alla stessa sentenza per cui l'uomo era già detenuto; l’altro disposto sul presupposto che si sarebbe reso “fuggitivo e latitante”, mentre in realtà era ristretto nel carcere di Teramo, in espiazione della pena comminatagli proprio dallo stesso Giudice Belga.

Ma non è finita. Il 26 aprile 2014 è tratto in arresto, per la seconda volta, per dare esecuzione al M.A.E relativo alla pena già espiata.

Una prima domanda di scarcerazione è respinta e, solo a seguito di una seconda richiesta, il Collegio della Corte d’Appello de L’Aquila “scopre” finalmente che P.E. è detenuto per una pena espiata.

La Corte d’Appello, rigettata la richiesta di consegna relativa a tale titolo, dispone comunque che P.E. sia consegnato al Belgio per il secondo MAE, quello fondato sull’errato presupposto secondo cui si sarebbe reso “fuggitivo e latitante” mentre era detenuto nel carcere di Teramo.

Di qui il ricorso alla Corte di Strasburgo per violazione degli artt. 5 e 6 CEDU, al quale andrà ora ad aggiungersi un nuovo “capitolo” per il terzo arresto, disposto per “consegnare” al Belgio chi era già stato consegnato dall’Autorità Giudiziaria tedesca!