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di ANTONIO D'AMORE Eppure, paradossalmente, questi Stati Generali della Cultura teramana, potrebbero aver segnato un momento irripetibile nella storia culturale cittadina. No, non per gli esercizi di “manualità & parola” somministrati ai partecipanti alla prima giornata, né per i progetti esposti, né per la sconclusionata serata dedicata al Premio Teramo, né per la partecipazione delle scuole, né per la giornata dedicata ai mecenati senza i mecenati. E certo non per l’eccessiva “parade” politica dell’ultimo giorno. Ma per le parole dell’assessore. Nel “sottotraccia” appena intuibile del suo intervento, che in premessa lo stesso Chiarini ha definito velato da una palpabile emozione, si intuiva in realtà il senso profondo, vero, di una presa d’atto dolorosa, che è, e lo ripeto, probabilmente il momento irripetibile degli Stati Generali e il seme dell’unica azione in grado di poter dare a questi quattro giorni un valore “storico”. Chiarini se ne dovrà andare. Perché solo un gesto netto, simbolico, potente, evidente, totale come le dimissioni, potranno fare di tutto quello che ha detto non dicendo, il senso vero di un momento culturale. Nei suoi venti minuti di relazione, l’assessore Chiarini avrebbe dovuto solo esporre la summa dei progetti, il distillato del lavoro dei quattro giorni. Avrebbe dovuto mostrare agli ospiti “istituzionali” la fotografia della Teramo culturale, coi suoi pregi, con i suoi difetti, con le sue zavorre, con le sue potenzialità. Invece, ha fatto di più, molto di più. In questo FILMATO, ho raccolto i momenti chiave del suo intervento, quelli nei quali l’emozione nervosa per la disillusa speranza si facevano strada. Marco Chiarini è uomo di cinema, sa benissimo dare un peso alle parole, anche quando sembrano appena accennate. “Questa esperienza ha cambiato notevolmente le mie certezze in fatto di amministrazione pubblica”, dice Chiarini, e cambiare le certezze significa perderle, significa renderle meno certe, significa metterle in dubbio. Se metti in dubbio una certezza, la cristallizzi fino a renderla così fragile da divenire inservibile. Una certezza deve essere solida per definizione. E se poi, e lo dice lo stesso assessore, quella fragilità si estende “…coi miei colleghi di Giunta”, ecco che trasuda, nel dialogo non dialogato del copione chiariniano, il disagio profondissimo che avverte chi, all’improvviso, chiamato per poter essere rinforzo esterno ad una giunta claudicante, si è ritrovato vaso di coccio tra i vasi di ferro. E non solo, perché i vasi di ferro si agitano nel tentativo di giustificare se setssi scheggiando il vaso di coccio. Chiarini, infatti, parla di “avversione”, del suo essere diventato “…nell’arco di 24 ore, lontanissimo da tutte le persone con le quali ho avuto a che fare…”, e non è difficile intuire come in quel “tutte le persone” ci sia l’evidente riferimento anche a quei colleghi di Giunta, che in ogni modo, anche durante gli Stati Generali, hanno manifestato la loro distanza. Una distanza certificata con quella mail “incriminata”, che Chiarini aveva inviato ad un ristrettissimo numero di assessori e che era finita poi sulle pagine del nostro sito certastampa.it. Una mail, a detta dello stesso Chiarini, parzialmente modificata, ma in un modo che solo un paio di persone avrebbero potuto fare, e quelle persone non erano nell’indirizzario. A testimoniare, con l’evidenza dei fatti, come nel loro agitarsi, i vasi di ferro avessero trovato alleanze finalizzate al solo scopo di mettere in difficoltà l’assessore “esterno”, perché se l’esterno riesce si intuisce l’inutilità del politico di professione. E la politica non lo può consentire. In quella mail, Chiarini ha letto la distanza che c’era tra i suoi pensieri e quelli di quella parte dei suoi colleghi che, giocoforza, avrebbero goduto dei suoi fallimenti. Per questo, Chiarini se ne dovrà andare. Perché solo restituendo alla politica il palcoscenico delle scelte, sarà possibile smascherare il gioco degli incapaci che, dopo aver fatto di Teramo l’ombra della città che era, adesso cercano un agnello sacrificale da portare fino alla fine della consiliatura. Sacrificandolo. Dandolo in pasto al pubblico, mentre loro, i politici di professione, si defilano per dedicarsi alla coltivazione degli orti elettorali. Chiarini lo sa, al punto che, nella mail successiva inviata agli stessi dodici destinatari, si lamenta del “tradimento”, evocando evangeliche narrazioni del ben più famoso tradimento di “uno tra dodici”, che condannò alla croce chi aveva avuto il torto di fidarsi dei suoi compagni. E guarda caso, di quella stessa croce da portare Chiarini parla anche dal praticabile teatrale usato come palco all’Ipogeo, definendosi “cireneo”. A differenza di Simone di Cirene, però, Chiarini non deve temere le fruste dei legionari romani e portare la croce del fallimento degli Stati Generali fino al Golgota della fine del mandato di Brucchi. No, Chiarini ha la possibilità, adesso, di fermarsi e piantare quella croce, smascherando non solo il gioco triste di una politica consumata dalla storia e dall’oggettiva mancanza di qualità di tanti dei protagonisti, ma anche costringendo Teramo a fare, davvero, adesso, una poderosa autocritica culturale. Che è culturale nel senso più ampio, di ripensamento del ruolo stesso della città, di rilettura senza condizionamenti dell’azione politica dell’ultimo decennio, che è e deve essere il punto fermo di una città che prende atto di aver davvero raggiunto il momento forse più inglorioso della sua storia. Per questo Chiarini se ne dovrà andare. Non per salvare se stesso dal naufragio, ma perché Teramo finalmente prenda atto che il naufragio c’è già stato, e siamo tutti su una spiaggia deserta, senza risorse, senza una guida e senza idee. Ma ci siamo. E possiamo ripartire. Come? Lo vedremo. L’importante, adesso, è che non passi la logica del “Teramo è come tutte le altre province” tanto cara all’onorevole Tancredi (che anche ieri l’ha rilanciata all’Ipogeo), né quella del “Non lasceremo Teramo da sola”, che piace tanto al governatore D’Alfonso. Perché sono alibi e specchieti per l'elettore. Dobbiamo smetterla di continuare a raccontarci la favoletta bella dell'essere una squadra di dignitosa metà classifica, perché la realtà è che siamo già retrocessi. Per colpa di tutti, nessuno escluso. E gli Stati Generali della Cultura hanno evidenziato proprio questo. Per questo, se Chiarini li storicizzerà dimettendosi, potranno diventare il fallimento più utile della nostra storia collettiva. Se resta, saranno solo 23mila euro spesi male.