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La macchina amministrativa alla luce delle modifiche apportate dalla seconda metà degli anni ’70 se è andata posizionando verso assetti aziendalistici. I criteri, dunque, si sono razionalizzati così come il modo di operare. In una giungla di vincoli, restrizioni, dimezzamenti di budget lo scopo era quello di dover lavorare con meno spese ma impiegando meglio le risorse, riuscendo ad allocarle in maniera esaustiva. Non si era più deputati al servizio del “bonnum comune” senza remore, ma manager attenti alle voci “efficienza, efficacia, economicità”. Questi avrebbero risposto agli utenti, la popolazione, in base al grado di soddisfazione e dai risultati ottenuti. Bene, in base alla suddetta premessa, come dovremmo giudicare questa amministrazione? Focalizziamoci su un argomento imminente: l’asset scolastico. Perché solo ora, dopo un anno dal principale sisma in centro Italia, si è finalmente arrivati alla “decisione” (sic!) di posizionare i MUSP nel teramano? Annunciate con l’ampollosità di una conquista storica dopo anni di eroiche battaglie omeriche, queste attrezzature, non saranno fatte degli stessi materiali standard; no, saranno rinforzati con migliori attrezzature tecniche per migliorarne resistenza e accoglienza. Ma non doveva essere una soluzione temporanea da porre in essere mentre nel contempo, si sarebbero svolti i lavori sulle scuole o sui nuovi poli anti-sismici? E poi, perché proprio alla D’Alessandro, in una zona dove fino a poco tempo fa si vedeva un progetto portato addirittura alla corte di Errani e Curcio? Dunque il comune ha deciso per i MUSP –tralasciando la questione numerica ascritta alla capacità di accoglienza dei ragazzi da parte delle strutture- saranno una stampella definitiva del nuovo ordinamento urbanistico-scolastico della città. Bene lo scopriamo così, deducendo i fatti. Ma l’altra questione di carattere temporale, forse più importante, riferisce alla data di consegna di questi alloggi. Sei mesi secondo alcuni, secondo altri di più visto i tempi di arrivo, quelli tecnici per i sotto servizi e quelli di costruzione arredata. In questi sei mesi vuol dire che quei cinquecento bambini, dovranno essere spostati altrove. E dove? Questo ci porta al secondo quesito. In più di un anno, non siamo ancora riusciti a capire l’entità, quel numeretto, che si rifà al grado di vulnerabilità strutturale degli stabili. Si spara come si fosse alla tombola: 0.2, 0.3, 0.4; nessuno ne ha idea, il vuoto normativo lascia molta interpretazione a desiderare, cosi come l’attitudine alla decisione di questa amministrazione. La virtù principale di quest’ultima sembra essere più che altro il “tiki-taka della chiacchiera”, il “procrastinamento strategico”, il rimando come professione. Scuole che prima erano considerate da demolire, oggi ritornano improvvisamente sicure ed accoglienti per i ragazzi grazie a giochi di prestigio contornati dalla dolce danza dello scarica barile. Il non assumersi responsabilità come stile di vita politico; lo sperpero di denaro pubblico come effetto collaterale. Quanti sono i progetti plausibili? Uno? Due? Tre? Quante le iniziative bottom-up lanciate, appunto, dal basso ossia dai costruttori e dalla società e rimaste incartapecorite sulla scrivania in barba ai principi costituzionali ( ergo, doveri ) di sussidiarietà orizzontale? Ritorna come uno spettro che si aggira per la città l’opzione della scuola da ricavare nella curva dello stadio G.Bonolis, usata come jolly nelle mani di una senescente amministrazione, che viene gettata sul tavolo ogni qual volta le cose si complicano. Il nostro no, più volte ribadito, ha le sembianze delle barricate, la nostra riluttanza ce la fa respingere in blocco. No a delocalizzazioni di poli di qual si voglia ordine e genere, Teramo non ha bisogno di vedere diluite le sue strutture. Teramo deve ripartire dal Centro, come una comunità. La gravosità della situazione la si riscontra nella mancanza della più minima bozza progettuale. Nell’era della formalizzazione burocratica e schematica, in cui la spina dorsale del potere è rappresentata dalla progettazione, la rarefazione di una chiara e precisa strategia comunale non fa altro che acuire quella sensazione di “catatonico smarrimento” in cui versa la città, ostaggio di scelte estemporanee e arbitrarie. C’è bisogno di un tavolo congiunto, di un maggior dialogo, di una fase di concertazione tra agenti che possa nel più breve tempo possibile mettere le carte sul tavolo comunale e provinciale. L’immobilità e i doppi giochi personali sono pericolosi .......più del terremoto. “Quousque tandem abutere, Catilina, patientia nostra?”