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Certastampa riprende e ospita molto volentieri questo intervento del professor Carlo Di Marco, paladino della democrazia partecipativa che, nel lanciare il tesseramento 2018 dell'associazione Demos, tratteggia il ritratto a tinte fosche della classe politica abruzzese e teramana in particolare   di CARLO DI MARCO   L’Associazione Demos in questi giorni lancia il tesseramento 2018 con nuovo slancio e rinnovato entusiasmo. Non è questa la sede per un resoconto delle attività svolte nel 2017 poiché per questo vorremmo aspettare la prima assemblea ordinaria dei soci. Riteniamo invece, anche dopo una riflessione svolta nel Comitato Direttivo riunitosi nei giorni scorsi, che siano opportune delle valutazioni politiche su alcune delle attività svolte nell’anno che sta uscendo. Abbiamo avuto il piacere di presentare in Consiglio regionale il progetto di legge “Promozione della partecipazione popolare alla programmazione e alle politiche regionali e locali. Il Dibattito Pubblico e altri istituti” che ora seguiremo passo passo. Il p.d.l. è il n. 441 presentato il 19 ottobre scorso, assegnato il 31 ottobre alla prima Commissione per il merito e ad altre commissioni per il parere. Sul progetto sono state svolte preliminarmente decine di assemblee pubbliche in cui i cittadini presenti, ogni volta, lo hanno discusso e anche emendato. Su questo progetto di legge, proposto dalla nostra associazione e fatto suo dal Coordinamento abruzzese di Democrazia Costituzionale, abbiamo dovuto registrare il silenzio più assordante di quasi tutte le forze politiche, dei sindaci e dei presidenti di provincia abruzzesi, fatta eccezione per Sinistra Italiana che ha promosso alcune assemblee e lo ha depositato, e per il Movimento 5 stelle che lo ha presentato in conferenza stampa ma non ha ancora provveduto alla sua firma. Si vive a Teramo un’entusiasmante esperienza che vede in prima fila comitati di quartiere (coordinati), associazioni e singoli cittadini impegnati in grandi battaglie civili e culturali. Solo per elencarne due, la delocalizzazione della Centrale Enel del Quartiere Cona e il destino del Teatro romano ancora fermo al palo della demolizione dei fabbricati (Adamoli e Salvoni) che impediscono il recupero della Cavea e la realizzazione di un progetto (inesistente) di recupero del bene culturale patrimonio della collettività. Sulla prima, si registra l’interessamento della Giunta regionale e di alcuni consiglieri regionali, ma essi, non per sminuirli, non fanno che attuare il mandato per il quale sono stati eletti. Parimente, tuttavia, si deve registrare il disinteresse della politica del palazzo comunale a cui mai è sorta in mente l’opportunità di aprire un tavolo di lavoro con le realtà civiche del territorio (Coordinamento dei comitati di Quartiere e Comitato di Quartiere della Cona) a cui bisogna invece riconoscere interamente il merito di aver promosso informazione e partecipazione dei cittadini al punto da costringere la classe politica regionale ad interessarsi della questione. Sul Teatro romano si registra una preoccupante volontà negativa della classe politica teramana dimostrata ormai da decenni in diverse amministrazioni succedutesi. La classe politica teramana non vuole il recupero del Teatro romano forse per non interferire su interessi privatistici che prevaricano, con tutta evidenza, l’interesse pubblico al recupero e alla rivitalizzazione del bene culturale appartenente alla collettività. L’ultimo deprimente teatrino mostrato dalla uscente amministrazione comunale ha dato il peggio! Ripetute bugie, negazione dell’accesso agli atti, rimescolamento degli adempimenti procedimentali nel quale traspare persino scarsa conoscenza della normativa sugli appalti da parte dell’apparato dirigenziale del Comune e tanto altro. Ancor più, chi ha governato la città fino a pochi giorni orsono, non ha mai sentito il bisogno di aprire, insieme alle associazioni, ai comitati di quartiere e al suo coordinamento, un tavolo di lavoro finalizzato al monitoraggio condiviso con i cittadini e le loro libere forme associative, di un percorso di recupero interrotto e volutamente affossato. Non certo brillante appare lo scenario nel Comune di Giulianova. Nell’unico comune in Abruzzo dove esiste un regolamento organico sulla democrazia partecipativa; è in vigore da due anni un regolamento sulla cittadinanza attiva; esiste un assessorato alla democrazia partecipativa, è stata creata una Consulta sulla democrazia partecipativa; esiste una Commissione di garanzia per assicurare l’ottimizzazione dei processi deliberativi e democratici, l’esperienza partecipativa è ferma da anni. A distanza di quattro anni e più dal loro insediamento, i cinque Comitati eletti a suffragio universale e diretto (portando alle urne l’8% degli aventi diritto) si sono ridotti a due per via dell’interferenza dei partiti politici (sia di maggioranza che di opposizione) sulla loro autonomia strutturale. Alcuni comitati sono diventati casse di risonanza dei partiti di opposizione, altri di quelli di maggioranza, smarrendo l’unico obiettivo che essi avrebbero dovuto avere: promuovere la partecipazione dei cittadini su tutte le questioni che riguardano la collettività di quartiere in maniera equidistante dai partiti politici (sia di maggioranza che di opposizione). Laddove quelli di opposizione sono riusciti a prevalere, hanno causato l’implosione dei comitati; laddove sono riusciti a prevalere i partiti della maggioranza, i comitati sono diventati cassa di risonanza delle auto-celebrazioni; laddove i comitati hanno tentato di mantenere la propria autonomia sono stati paralizzati sia dall’uno che dall’altro schieramento. L’Amministrazione comunale non ha mai dotato i Comitati di una sede organica e strutturale; non ha più investito in democrazia congelando l’unico piano strategico proposto dalla Consulta; non ha mai attuato lo strumento regolamentare dell’Assemblea pubblica mensile; ignora lo strumento del dibattito pubblico sulle opere che incidono sul tessuto sociale ecc. Non ci dilunghiamo sull’esperienza bellissima del Comitato di Quartiere Silvi sud che, nato da oltre un anno, al momento è riuscito stabilire ottimi rapporti interni ed esterni, con la cittadinanza, attraverso i tavoli di lavoro. Su questa esperienza ci riserviamo di tornare in altra occasione. Qui ci limitiamo a rilevare che essa, a differenza di quella giuliese e in parziale similitudine con quella teramana, è nata spontaneamente dalla base, senza alcun intervento normativo (statutario e regolamentare) da parte del Comune. Questo rilievo è di grande importanza perché, a pensarci bene, anche a Grottammare, dove la democrazia partecipativa è un patrimonio di inestimabile valore (noto in tutto il mondo) da circa vent’anni, non c’è un regolamento. Lì c’è stata da sempre e c’è solo una grande volontà delle forze politiche che amministrano (appunto) da oltre vent’anni, di mettersi veramente al servizio dei cittadini sovrani. Quest’ultima considerazione è dirimente. Gli strumenti giuridici sono necessari, certo. Essi sono statuti e regolamenti comunali, sono consulte, comitati, forum e chi più ne ha più ne metta, ma solo un’effettiva volontà politica da parte di chi amministra le nostre città; effettivi e reali segni di discontinuità rispetto all’autoreferenzialità delle logiche partitiche tradizionali; reali cambiamenti culturali di chi ancora pensa a questi strumenti solo come trampolini di lancio verso nuove mete carrieristiche personali, possono davvero capovolgere la piramide del potere e riportare milioni di cittadini a riappropriarsi del proprio destino. L’associazione Demos continuerà, con le sue competenze, ad affiancare i cittadini, i comitati, le istituzioni locali ed anche i partiti che intendono percorrere la strada della democrazia partecipativa perché si attuino i principi costituzionali, ma non mancherà, parimente, di far emergere punti di forza e punti di debolezza come ha sempre fatto.