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La recente analisi svolta dalla Fondazione sul negativo esito della candidatura di Teramo a capitale della cultura manifesta due profonde verità: da un lato, l’eredità pesantissima lasciata dalla fallimentare esperienza politica di 13 anni di centrodestra teramano che non è stato in grado di governare i processi di sviluppo della nostra comunità, il cui tessuto etico, sociale, economico e culturale è oggi tutto da ricostruire; dall’altro, una vitalità straordinaria ed inespressa della nostra città che ha tutte le carte in regola, oltre che il dovere, di recuperare e rivendicare, sul piano sostanziale, il proprio ruolo di capoluogo di provincia. La candidatura di Teramo a capitale della cultura era apparsa fin da subito velleitaria, non perché la nostra città non ne avesse - e non ne abbia - le potenzialità. Tutt’altro. La centralità della riqualificazione dell’ex manicomio coordinata dalla Nostra Università, con la lungimirante previsione di una cittadella della cultura ne è un esempio lampante. La bocciatura è, in realtà, figlia della mancanza di visione strategica del fallimentare modello Teramo che ha lasciato la nostra città all’anno zero. Partendo da questo presupposto è corretta la lettura secondo cui la bocciatura deve essere colta non come una sconfitta ma come un punto di ripartenza. Ripartenza da un fallimento politico. Teramo negli anni del centrodestra è stata raccontata per ciò che non è, non è stata valorizzata per ciò che ha e per ciò che può. Ci si è dimenticati delle sue enormi potenzialità, perché la città è servita ed è stata asservita ai destini politici di chi l’ha mal governata. Al di là di parole e annunci, si è rinunciato a dare una visione alla città, non si è lavorato sulla sua identità, sui valori che ne permeano storia, tradizioni, economia e cultura. Una "non politica culturale" che ha dimenticato il recupero del Teatro romano, che non ha saputo valorizzare il polo museale e le tante risorse culturali del territorio, che ha lasciato la disastrosa eredità della gestione del teatro comunale, che ha consegnato come unico prodotto l’imbarazzante museo del Gatto. E lo smarrimento di identità non può che tradursi in perdita di centralità in ambito provinciale e di competitività nel quadro regionale e sovraregionale. Mentre le altre città si interrogavano sul futuro delle propria comunità e sul ruolo dei relativi territori, la classe governante teramana, nessuno escluso, si preoccupava solo del proprio futuro politico, arroccandosi nella gestione di un sistema di potere autoreferenziale, che alla fine è collassato su se stesso, trascinando in uno stato di grave difficoltà tutta la comunità teramana. Ora bisogna recuperare il terreno perduto, partendo da un punto fondamentale, che riassume e definisce ogni cosa: il ruolo di capoluogo di provincia; ruolo inteso però non come mera attestazione, non come condizione che ingessa il territorio in sterili posizioni di campanile, non come situazione di privilegio, vanto o vuoto riconoscimento di legge. Capoluogo come elemento trainante, forza propulsiva, anima di dinamiche ampie e costruttive; capoluogo, cioè punto di riferimento politico, amministrativo, economico, culturale, aggregativo, intellettuale, civile. Capoluogo come città ricca di energie, capace di attrarre investimenti. Capoluogo è una città che pone al centro della sua azione l’Università, il cui ruolo è stato spesso svilito dalla politica cittadina miope di fronte alle straordinarie opportunità che il mondo accademico offre al nostro territorio e alla nostra comunità. Capoluogo è una città che nella drammatica condizione che vive il nostro territorio colpito severamente dal terremoto guida e programma la ricostruzione, pubblica e privata. Chi ama la nostra città e le sue stupende frazioni vive quello che è successo come una offesa e chiede ai teramani di diventare protagonisti del loro futuro, allontanando definitivamente dalla scena coloro che questo ruolo hanno usurpato. Ora più che mai abbiamo il dovere civico e la responsabilità di guardare al futuro con uno sguardo pulito, libero, scevro da condizionamenti, per costruire una città migliore per noi e per i cittadini di domani.

Gianguido D'Alberto