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Nata capitale già nel '500, con il Gran Ducato dei Farnese. Cresciuta con i Borbone e trasformata da un donna illuminata, come Maria Luigia, moglie di Napoleone. Città di Verdi e Toscanini, delle cupole trionfo del Correggio e del Battistero in marmo rosa, del Teatro Regio e di una delle più antiche Università al mondo. Patria del prosciutto e del Parmigiano, nominata nel 2015 Città creativa Unesco per la Gastronomia. Dopo Mantova 2016, Pistoia 2017, Palermo 2018 (e Matera 2019 in Europa), con un dossier intitolato La Cultura batte tempo, è Parma la Capitale italiana della cultura 2020, trionfatrice in finale su Agrigento, Bitonto, Casale Monferrato, Macerata, Merano, Nuoro, Parma, Piacenza, Reggio Emilia e Treviso. Ad annunciarlo, il Ministro di beni culturali e turismo, Dario Franceschini. «La competizione è ogni anno più forte con progetti straordinari - dice - già essere nella short list è come una nomination all'Oscar». «Raramente ho poche parole, ma stavolta mi avete lasciato senza», dice emozionato il sindaco, Federico Pizzarotti, ri-eletto alla guida di una lista civica di ex grillini, usciti polemicamente dal Movimento. La decisione della Commissione presieduta da Stefano Baia Curioni è stata unanime: quello presentato, si legge nella motivazione, è un «esempio virtuoso e di elevata qualità nella progettazione territoriale a base culturale». Al centro del dossier, sette distretti socio-culturali in diverse aree della città, che diventeranno spazi di creatività, riflessione, innovazione e, quasi una parola d'ordine, di rigenerazione. Il costo «5 milioni di euro, la maggior parte da privati», cui si aggiunge il milione del Mibact per la vittoria. Obbiettivo di Parma è: «passare da 700 mila turisti l'anno, a un milione nel 2020». Grazie a un accordo tra Mibact e Enel, poi, annuncia Franceschini, «ogni anno la Capitale sarà centro di un progetto per bici e auto elettriche, per un turismo sostenibile ed ecocompatibile». Parma, dunque,sarà città della cultura 2020 con la sua storia e la sua voglia di crescere su basi già consolidate. Bene. Ma Teramo che pensava di fare quando decise di candidarsi? La politica cieca, che non ha voluto fare i conti con la realtà di una vivacità culturale che non c'è, ha creato aspirazioni impossibili. Un bagno di umiltà, che quella stessa politica non ha voluto fare, tanto da ingaggiare già anche una nota società privata di marketing per stilare un progetto, ha portato Teramo alla esclusione. Teramo, con i suoi prossimi amministratori dovrà ripartire da zero, per ricostruire un senso culturale che non c'è più. Scegliendo anche persone (cioè assessori) che sappiano e che facciano. La prossima volta pensiamoci prima. Molto prima. Venti anni prima. Almeno.