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F64E4B56 B932 4344 A8F6 BD4F4ED341DA Portami dove sei nata,il libro di Roberta Scorranese, è una lettera d’amore di una donna che fa ritorno nella terra che ha lasciato da giovane e, cercando le paroleper raccontarla, ritrova se stessa e il senso profondo dei giorni”. La Scorranese parte dalle radici per raccontare il suo Abruzzo e tesse una tela che unisce passato e presente: perché il terremoto non cancelli la memoria, perché nemmeno il futuro è pensabile se non si guarda indietro. Così assistiamo al miracolo della Madonna cinquecentesca di terracotta, perduta, ritrovata, frantumata dal sisma e poi rinata grazie alla tenacia degli abitanti di un borgo; conosciamo Peppe e Rosa, che si giocano tutto ai tavoli verdi; scopriamo che c’è chi alle ipnotiche serpi di Cocullo deve la vita; e ci sembra difficile non credere a san Gabriele, che sa perdonare il “peccato grosso” finalmente svelato”.

Chi è Roberta Scorranese?

Sono nata a Valle San Giovanni, meno di trecento abitanti a dieci chilometri da Teramo. Ho studiato al “Delfico” e poi, a diciannove anni, sono andata via: prima l’Università a Roma, poi la specializzazione presso la Scuola superiore di Giornalismo Radiotelevisivo di Perugia. Quindi un periodo di lavoro in Rai prima di trasferirmi a Milano dove vivo tuttora e dove lavoro al Corriere della Sera, quotidiano nel quale sono vice responsabile delle pagine Eventi Culturali ormai da tanti anni.

E' vero che ha scoperto la passione per la scrittura sin da piccola?

Sì, ho imparato a leggere cercando di decifrare le etichette degli elettrodomestici. In casa i miei non volevano che parlassi il dialetto, ma ancora oggi, quando mi sento molto stanca, mi viene da dire che ting’ la dsbracc. O se ho sonno nel pomeriggio parlo di picundrìa. Il nostro dialetto ci racconta, ci definisce, ci abbraccia e ci protegge. Da che cosa? Dalla lontananza. Chiunque viva lontano da casa mi capisce.

Lei in “Portami dove sei nata” racconta la storia dei suoi nonni vissuti a Valle S. Giovanni, come nasce l'idea di scrivere questo libro?

Tutto è cominciato nel febbraio del 2017, quando mio padre non ha retto all’ennesima scossa di terremoto (quello che ha devastato Amatrice) e ci ha lasciato a causa del suo cuore troppo fragile. È stato allora che ho cominciato a guardarmi indietro. Ho preso a rileggere certi episodi della mia infanzia, a riascoltare certe voci. Come in un disperato tentativo di recuperare un tempo che non c’è più ma che può rivivere nel racconto. L’idea del libro è stata di Giulia Ichino, una delle anime della Bompiani, una che ha talento e sensibilità. Così mi sono messa a scrivere dell’Abruzzo, del mio paese, di tutti quei fantasmi che popolano i racconti di mia madre. Fantasmi buoni, a volte bizzarri (come Zi’ ‘Ntonio, che ha trascorso la vita nel tentativo di fabbricare una bomba in casa), a volte caparbi (come Cesira, la prima donna che a Valle osò prendere la patente).

Che rapporto ha oggi con questi luoghi e con i suoi abitanti?

Meraviglioso. Il mio paese, in occasione del libro, mi ha fatto una grande festa nella quale mi sono commossa. E, ne sono certa, prima o poi tornerò stabilmente nella casa dove ora vive mia madre e che già sento mia. Però vorrei fare di più per l’Abruzzo. Vorrei dare un contributo, per quel che posso. Dunque, ne parlo non appena se ne presenta l’occasione.

L’antropologo Vito Teti in Maledetto Sudha raccolto alcune definizioni sugli abitanti del sud Italia: oziosi, lenti e malinconici. Che ne pensa?

Non conosco Vito Teti e non ho letto quel libro, ma penso che l’autore dovrebbe passare qualche giorno in compagnia di alcuni dei personaggi abruzzesi che racconto nel mio libro. Gente straordinaria, dotata non solo di energia e capacità visionaria, ma anche di fantasia.

Chi è stato particolarmente importante per la sua formazione?

Farei torto a troppe persone se facessi dei nomi omettendone altri. Ma mi piace ricordare una persona speciale, Liliana D’Ignazio, la mia professoressa di matematica al liceo. Mi ha capita come pochi.

Anna Brandiferro

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