La pandemia, che stiamo vivendo, con le sue implicazioni, sta accendendo i riflettori sulla vocazione propria del nostro Paese.
La gestione dell’emergenza e della “ripresa”, richiede necessariamente, da parte di chi ci governa, l’individuazione della vocazione da seguire: a cosa attribuiamo importanza strategica? Su cosa dovremo concentrare le forze e gli sforzi del sistema Italia?
In questi giorni abbiamo letto e sentito di tutto. Aprire tutto, aprire qualcosa, lockdown si, lockdown no e così via all’infinto.
Ogni categoria insorge a difesa dei propri interessi ed in considerazione delle sole esigenze di competenza, il tutto a fronte di un virus sconosciuto agli stessi “tecnici”, che affermano tutto ed il suo contrario.
Cosa fare, dunque? Rispondere a questa domanda ci riporta alla domanda di sempre, che, nel tempo, sembrerebbe rimasta priva di una vera risposta: quale vocazione per l’Italia? Quale per le singole città?
Sembra che non sia più possibile ritardare nella risposta: occorrerà individuare la giusta vocazione o si rischia di vanificare tutti gli sforzi dei cittadini e dei governi per uscire dalla crisi conseguente alla pandemia.
Questo induce a riflettere su un tema che, più o meno direttamente, riguarda ciascuno di noi: il ruolo rivestito dalla SCUOLA nel nostro Paese.
Allo scoppiare dell’emergenza Covid, prontamente il Governo ha disposto la chiusura delle scuole, predisponendo con solerzia un sistema di didattica a distanza, che, però, sta facendo emergere tutta le lacune della gestione del sistema scolastico in Italia.
Già in occasione del sisma, che ha colpito duramente la nostra Regione, i cittadini hanno dovuto constatare la marginalità del tema SCUOLA, nei tavoli decisori, nell’occasione con riguardo all’edilizia scolastica; oggi, la medesima constatazione investe il tema della didattica a distanza, modalità di insegnamento inserita in un contesto normativo e amministrativo, che troppo a lungo non ha conferito al tema la centralità che gli è propria.
Il Ministero dell’Istruzione, nel prevedere la c.d. didattica a distanza, ha fornito ai dirigenti ed ai docenti obiettivi e principi generali cui ispirarsi, tra cui il più famoso nessuno deve rimanere indietro, “Nessuno deve essere in sosta, in panchina, a bordo campo”, si legge nelle note operative emanate dal dicastero, nel marzo scorso; tuttavia, sulle modalità, i singoli Istituti godono di autonomia organizzativa ed a livello centrale non sono state fornite indicazioni puntuali sui relativi aspetti, con ciò rendendo più difficoltoso il rispetto del principio di uguaglianza, posto quale principio guida nella didattica a distanza. Questo ha fatto sì che, le modalità di svolgimento della didattica adottate dai diversi Istituti si differenzino non poco le une dalle altre. A titolo di esempio e guardando solo alla nostra provincia, si pensi al monte ore di lezione. In provincia di Teramo vi sono Istituti che, sin dal mese di marzo, hanno garantito alle classi lezioni quotidiane di tre ore mediante chat o videoconferenze in uno ad esperienze virtuali (ad es. video e padlet) e altri Istituti che per i primi 30/35 giorni hanno svolto la didattica a distanza mediante assegnazione di compiti da inviarsi agli insegnanti a mezzo mail, per poi attivare lezioni in videoconferenza per poco più di un’ora al giorno. Già solo questo aspetto pone un interrogativo: l’attuale sistema è davvero in grado di garantire il rispetto del principio di uguaglianza, di cui all’art. 2 della convenzione ONU sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, “Tutti i bambini e i ragazzi sono uguali a prescindere dalla loro condizione personale e sociale”, cui si è ispirato il Ministero nel prevedere questa nuova forma di insegnamento? Nel caso in esempio, gli alunni delle classi del primo istituto non sono avvantaggiati rispetto a quelli del secondo? Seguire le lezioni per 15 ore a settimana alla presenza simultanea di compagni e insegnanti, oltre all’utilizzo di altri strumenti nel restante tempo, non fornisce a quei bambini più possibilità di conoscenza rispetto ai coetanei che hanno la stessa possibilità per
sole 7/8 ore a settimana? Il tempo di svolgimento delle lezioni a distanza, che influenza può avere sulla relazione tra docente e discente e, quindi, che ricadute sull’evoluzione emotiva e sulla preparazione di questi ultimi? È sufficiente la consegna di presidi quali tablet e pc per scongiurare le disuguaglianze? Non sarebbe opportuno che, a livello centrale, ci si attivasse per fornire indicazioni più puntuali tese a garantire pari opportunità a bambini e ragazzi?
Quello appena riferito è solo un esempio, inerente una piccola Provincia, ma quante disuguaglianze si rischia di causare, se non si mette mano seriamente al sistema Scuola?
La necessità di individuare la vocazione di un Paese passa dalla gestione del presente avendo riguardo al futuro, quindi, è auspicabile che il tema SCUOLA torni preponderante, in tutta la sua centralità sul tavolo della Politica ad ogni livello, secondo le diverse competenze e da subito.
Nell’attesa, però, il cittadino (genitori in primis) può e deve compiere tutti gli sforzi possibili per accompagnare i bambini in questo momento delicato in modo che nessuno resti indietro, nella consapevolezza che per rialzarsi non ci si può limitare a chiedere allo “Stato” di fare qualcosa, ma occorre compiere lo sforzo di comprendere cosa ciascuno può fare per far decollare l’Italia, mettendosi all’opera: restare in attesa di ricevere, lamentandoci dell’operato altrui, non è più un’opzione!
Simona Mazzilli Presidente Provinciale ACLI SEDE DI TERAMO