Mettere una bandiera su un balcone non è sufficiente. Ma è un punto di partenza. Non è sufficiente dire “Giustizia” . Ma è qualcosa. Ora la Città di Teramo intitoli una via a Giulio RegeniConceda la cittadinanza ai genitori. E proponga a tutte le città abruzzesi di farlo. E a tutte le città d’Italia.
In Paese serio sa dire la verità: principalmente su se stesso. Non s’illude con infondate speranze, non millanta capacità che non ha e che sa di non avere. Un Paese serio non tratta una vicenda come quella di Giulio Regeni nel modo come l’ha trattata l’Italia, a cominciare dal suo governo per finire con la sua opinione pubblica.Tutta la città deve sapere che in Egitto di Giza e Sharm c’è la tortura: gli omosessuali vengono chiusi in apposite gabbie nel carcere di Tora, e lasciati per 6 mesi nelle mani di gruppi di detenuti, a turno, come premio ? Avviene al Cairo, capitale di uno Stato alleato, ottimo partner militare, commerciale e turistico.
La culla della storia. La cultura. Le misteriose piramidi di Giza, la Sfinge, il tempio di Karnak a Luxor: se poi l’Egitto è anche il Paese ultimo nella classifica sulla libertà di stampa, non so se esclamare “molto bene” o un più semplice “chissenefrega”.
Sole per 10 mesi l’anno. Mare cristallino. Piatti di pesce freschissimo. Hotel stupendi. Giulio Regeni per l’Egitto è uno dei tanti. Uno che, se si fosse fatto i fatti suoi, ora se ne starebbe bello al mare pure lui. In Egitto vige un regime militare che sopravvive grazia alla più feroce dittatura al mondo. 140mila detenuti per reati politici, 1500 morti. 300 persone scomparse ogni anno.
Il deserto, il Sinai, le immersioni, villaggi sul mare, spiagge sabbiose: aotto anni dal colpo di Stato militare che depose l’ex presidente M. Morsi, eletto democraticamente, una feroce dittatura, sempre più repressiva incombe sul Paese dei faraoni.
Le barriere coralline. NaamaBay, con la sua passeggiata Il Parco Nazionale di Ras: dal 2014 l'Egitto è il Paese che incarcera più giornalisti al mondo. Anzi ,diciamolo, fanno bene, E ciò non è avvenuto a caso. C'è una dittatura militare al potere, che militarizza tutto il militarizzabile. Tutto ciò che è ostile alla dittatura viene liquidato come terrorista o minaccia per la sicurezza nazionale. Se cadi in questa rete non ne esci. E’ questo il caso di Giulio Regeni, ucciso dai servizi militari e buttato in strada. Un omicidio crudele. La crudeltà delle persone che lo hanno ucciso non ha limiti e tutti i giornalisti egiziani possiamo essere le prossime vittime. Tra queste persone a forte rischio c’è una donna coraggiosa, attivista, giornalista e direttrice del giornale indipendente MadaMasr. Giornale che già venne attaccato nel maggio del 2017, nel 2019 subì la perquisizione negli uffici da parte delle forze di sicurezza, con tanto di arresti e detenzioni illegali, per arrivare all'arresto della direttrice di questo maggio 2020. Arrestata mentre stava facendo il suo lavoro di giornalista. Stava intervistando nei pressi del tremendo carcere di Tora - dove si continua ad essere uccisi suicidati e non solo - la madre di una nota attivista della rivoluzione del 2011. Dopo diversi giorni di galera è stata scarcerata su cauzione. L'Egitto è questo. Un Paese dittatoriale con il quale continuano a relazionarsi come se niente fosse tutti i Paesi europei, Paesi democratici ed occidentali, a partire dal nostro. Anche vendendo armi. E tutto ciò è semplicemente scandaloso visto che l’Egitto è un paese che dal 2017 vive sotto l’applicazione dello stato di emergenza. Una delle principali richieste della “primavera araba” in Egitto era proprio l’abolizione dello stato di emergenza, imposto dal presidente Hosni Mubarak a seguito dell’assassinio del suo predecessore Sadat. Questa misura, attiva dal 1981, è stato rinnovata negli anni con la motivazione di combattere la minaccia del terrorismo, per poi essere revocata solo dopo la caduta del regime di Mubarak. Lo stato di emergenza conferisce ampi poteri alle forze di sicurezza, sospende il diritto alle manifestazioni di ogni genere e limita le libertà di opinione, di riunione e di stampa.
Dall’ascesa al potere di Al-Sisi con un colpo di Stato nel 2013, la condizione dei diritti umani è andata sempre più deteriorandosi in Egitto: Al-Sisi ha come priorità combattere attivisti laici, giornalisti, gruppi islamici pacifici che si oppongono al suo regime piuttosto che la lotta al terrorismo. Secondo i dati delle organizzazioni sui diritti umani circa140.000 persone sono state imprigionate tra il 2013 e il 2019. Inoltre sono aumentati i casi di tortura nelle prigioni e le sparizioni, che secondo Amnesty International ammonterebbero a 5-6casi al giorno dal 2015 al 2019 (ed il numero potrebbe anche essere maggiore poiché molte famiglie non denunciano le scomparse per paura di ritorsioni). L’ArabNetwork for Human Rights Information afferma che lo stato di emergenza non è stato attuato per rafforzare la sicurezza nel paese ma piuttosto per “sopprimere la libertà di opinione, di espressione e credo, e i diritti umani”. Lo stato di emergenza è dunque l’ennesima mossa utilizzata da Al-Sisi per attuare questo piano: nel 2013 è stata approvata una legge che vieta manifestazioni contro il governo e tre anni dopo una nuova legge ha creato un consiglio supremo per controllare i media, con la facoltà di revocare le licenze e multare e sospendere le trasmissioni e le pubblicazioni che screditano il regime.
Leo Nodari