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Lettera aperta dall'avvocato Domenico Giordano (che ha perso la madre per il Covid ed ha il padre ricoverato ad Atri) alla Asl e al Sindaco di Teramo sui medici di base e l'Usca
 
Caro Gianguido (D’Alberto - Sindaco di Teramo)
Caro Maurizio (Di Giosia - Manager Asl di Teramo)
Caro Maurizio (Brucchi – Direttore sanitario Asl di Teramo),
abbiamo un problema.
Da quanto apprendo dai giornali, dalle lettere inviate da cittadini, dai racconti fatti sui gruppi Osservatorio Teramano, I ragazzi di corso San Giorgio ed altri, ed in ultimo, dalla mia stessa vicenda personale, a Teramo non funziona la c.d. medicina del territorio; cioè non funzionano tutte quelle strutture che dovrebbero prendersi cura dei malati prima che si aggravino e giungano in condizioni disperate in Ospedale.
Non ci vuol molto per comprendere che i medici di famiglia dovrebbero visitare i loro pazienti, interpretarne i sintomi e fare subito i tamponi, in modo da distinguere il Covid da un banale malessere stagionale.
Si dice che gli ospedali sono in affanno in questo periodo ma è inevitabile che ciò accada se chi dovrebbe intervenire prima non si attiva.
L’Usca fa i tamponi con grandissimo ritardo, lo sanno tutti i malati ma anche i genitori dei bambini che vanno a scuola, gli insegnanti ed i presidi. Mi dicono che all’Usca, lavorano ragazzetti neolaureati muniti di buona volontà. Ma li occorre esperienza e competenza. Dove sono i medici, quelli con esperienza e competenze.
Ho a cuore gli operatori del 118, quelli che stanno nei reparti Covid, e tutti i medici ospedalieri che sono costretti a fare il triplo salto mortale per salvare pazienti che giungon loro già “cadavere”. Ma perché non si agisce prima? Perché non evitare che le sale di terapia intensiva si saturino?
L’inefficienza pubblica uccide più del Covid, che se diagnosticato per tempo si gestisce.
Chi ha la sventura di contrarre il virus e non viene ospedalizzato è costretto a combattere la propria guerra da casa. Sulle famiglie grava tutto il peso dell’assistenza. Non tutti sanno usare l’ossigeno, fare le punture di eparina o far fronte alle innumerevoli difficoltà generate da una malattia dai molteplici sintomi e dalle innumerevoli complicanze. Noi non siamo medici ma avvocati, commercianti, operai.
Fate fare i tamponi ai medici di base, aumentate i drive in e affidate ai laboratori di analisi privati (ove possibile) l’analisi dei risultati. Se non si fanno i tamponi per tempo nessuno di noi saprà mai di essere malato e trasmetterà il virus ai familiari, agli amici ed ai colleghi di lavoro.
L’aumento esponenziale dei contagi è conseguenza dell’inefficienza del pubblico non è merito del Covid.
In questo momento del Paese siamo tutti chiamati ad assumerci le nostre responsabilità (soprattutto chi ha da sempre goduto di grandi privilegi).
Durante il primo lockdown ho visto gli eroi di questa pandemia. Erano le commesse dei supermercati che ci vendevano il pane ma anche la farina ed il lievito, che ci ha permesso di pubblicare le nostre foto su Facebook. Ogni volta che andavo a fare la spesa guardavo queste ragazzette dagli occhi spaventati. Dinanzi a loro passavano in media duecento persone al giorno (non i dieci o venti pazienti al giorno del medico di base). Sono i volontari della croce rossa (sempre presenti) ma anche i farmacisti e tante altre categorie professionali che non hanno avuto la fortuna di esser annoverati fra gli eroi pur essendo stati li tutti i giorni a fornirci quei beni di prima necessità di cui una società complessa necessita.
Se, come si dice, siamo veramente in guerra, ho l’impressione che il nostro esercito sia composto da soldati semplici che combattono nelle prime fila mentre i tenenti si defilano ed i generali hanno le idee confuse.
Se si vuole evitare la piena disfatta è ora di serrare le fila e di riorganizzare bene l’esercito, altrimenti sarà una Caporetto.