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Quello di Di Dalmazio è un dato elettorale curioso. Importante. Che va letto con lo sguardo allargato, a ricomprendere dinamiche diverse e particolari. A metà della sua campagna elettorale, infatti, Di Dalmazio, assessore uscente al turismo, al quale nemici e soprattutto amici non avevano fatto mancare negli anni qualche riferimento diretto al suo essere "esterno", nominato e non votato, ha deciso che no, quello che stava accadendo non era la politica che amava. Quello che stava accadendo era un gioco di trasversalismi a tratti inconcepibili, di alleanze transpartitiche francamente incomprensibili, di intrecci ispirati ad una personalizzazione che stava corrodendo il centrodestra teramano. Da quel momento in poi, ha deciso di fare da solo, di scollarsi dalle logiche nuove di una coalizione che balbettava nel dialogo coi cittadjni, e ha iniziato ad attaccare a testa bassa. Per dirla con Cyrano, "pugnando per il gusto della pugna, senza certezza di vittoria". Ed è stata la sua una campagna elettorale nuova ma antica, che ha prodotto un risultato di politica antica, di affezione e di coerenza. Quattromila voti pesantissimi. Una vittoria. Ad'a