Armando Di Antonio è fotoreporter al quotidiano Il Messaggero, inizia a fotografare intorno agli anni ’70, colpito soprattutto dalle possibilità creative offerte dalla camera oscura.
Nel 1989 conosce Mario Giacomelli, uno dei maestri della fotografia contemporanea, con il quale svilupperà un intenso rapporto di amicizia e collaborazione.
Nel 2020 hai pubblicato il libro “Teramo. Frammenti urbani” (Ricerche e Redazioni),pochi giorni fa la mostra nello spazio espositivo dell’Arca. Ci racconti come nasce questo “sguardo sulla città con le sue trasformazioni architettoniche e urbanistiche”
L’idea del libro parte da molto tempo. Il motivo è semplice,è sotto gli occhi di tutti che la città ha subito dei trasformazioni urbanistiche in maniera non armonica, è sufficiente vedere le foto del secolo scorsoe confrontarle con la realtà di oggi.
La mia idea era ricominciare “da zero”, nonostante le tante foto di Teramo che avevo a disposizionevolevo vedere le trasformazioni urbane, le architetture antiche e quelle più moderne,ho seguito la mia sensibilità cercando luoghi che mi piacevano ma anche quelli che non mi piacevano. Come una persona che arrivae visita lacittà, vede le cose belle ma anche cose non belle.
A proposito delle cose non belle, hai detto “ho fotografatoanche le cose che erano brutte…Ho visto il bello dove il bello non c’è…”
Sì, è andata così , è stata una sorpresa anche per me. Teramo la conosciamo tutti,vedendo sempre le stesse cose spesso non ci si fa più caso e diventano “quasi invisibili”.
Quando ho iniziato questo lavoro leggevo spesso gli scritti di Luigi Ghirri , c’è una frase che mi è tornata in mente : “ tutte le cose dovrebbero essere guardate seguendo movimenti e spostamenti che ci portano a vederle meglio” mi sembrava una cosa ovvia , riflettendoci ho capito che non era così.
Ho iniziato ad andare nei posti che conoscevo , ho cominciato a guardarli da un’angolazione diversa, anche le cose brutte che prima vedevo da un’altra angolazione,con la luce “buona” perché io “previsualizzo” già quello che devo fare, non erano più così.
Sono tornato più volte nei posti, e con grande sorpresa quando sono andato a rivedere le foto ho visto che anche quelle cose cheavevo fotografato perché non mi piacevano, una volta divenute immagini sembravano belle, sembravano altro...
Nelle foto è stato necessario cogliere “l’attimo giusto”?
In questo tipo di foto, di architettura oppure di cose immobili “l’attimo giusto” non c’è, nel reportage sì:deviessere veloce, avere intuizioni, prevedere quello che sta per succedere, lì ci vuole l’attimo giusto.
In questo tipo di foto bisogna ragionare e capire che non tutti i giorni sono buoni, bisogna anche vedere come stai. Dipende dalla tua sensibilità e dal tuo stato d’animo, da come stai per riuscire a fare ciò che avevi in mente, c’erano dei giorni in cui non vedevo nulla e giorni in cui riuscivo a vedere cose che il giorno prima non avevo visto, tutto dipende dalla sensibilità e dal tuo stato d’animo.
Ad esempio la foto di Largo S. Matteo , sulla copertina del libro, è una foto per la quale ho impiegato più di un mese, ho fotografato in tutte le ore ma l’immagine non corrispondeva all’idea che avevo. Ho scattato la foto il 13 agosto, alle ore 13,30 con 40 gradiperché mi servivano i riflessi del sole sulla parte metallica, solo quel giorno e a quell’ora ho trovato l’immagine che avevo in mente.
La macchina fotografica è come la penna, sei tu che fai la foto o che usi la penna, dipende date quello che vuoi comunicare.
Ho detto ai ragazzi che hanno visitato la mostra, che fare le foto è mettere sempre se stessi, la fotografia rispecchia te stesso, alcune volte è poesia altre…spazzatura.
Se si vedono tutte le foto di Ghirri, si vede che sono tutte concatenate tra loro, non serve fare solo una foto ad “effetto”, non serve a nulla, se invece fai un “discorso” si vede la tua visione di mondo.
Perché “Frammenti” ?
Perché sono frammenti della città, quasi decontestualizzati, piccole porzioni. Noi quando facciamo la foto “scartiamo” tanto, l’occhio vede a 360 gradi nella foto bisogna riempire un piccolo rettangolino con le cose che hai in mente e quindi devi riuscire a isolare quello che vuoi fare e
“ scartare” tutto il resto , questo è il frammento.
Il frammento non è il paesaggio che è una veduta più ampia , sono piccole porzioni di paesaggiourbano.
Quando faccio le foto sono da solo, devo stare in pace con me stesso e spesso quando vedo una foto mi vengono in mente anche brani musicali, quello che abbiamo dentro lo riportiamo nella realtà. Ogni volta che ho fatto una foto è perché mi sembrava qualche altra cosa, mi faceva venire in mente altre immagini, altre musiche…
Che cosa ti ha emozionato di più in “Frammenti urbani” ?
Emozionato di più è cheho visto il bello dove il bello non c’era…..uno dei misteri della fotografia.La fotografia è un mistero, così diceva Edward Weston, io la penso come lui.
ANNA BRANDIFERRO