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Il professor Claudio Moffa, accusato di negazionismo per una  sua lezione su La Shoah tra Storia e Politica del 2010, ha ottenuto dal Tribunale di Roma un secondo rinvio a giudizio nei confronti de Il Tempo di Roma: nel 2014 una GIP romana aveva già disposto l’imputazione coatta per un collaboratore del quotidiano romano. Motivo, il contrasto lampante tra il contenuto dell’articolo e una lezione di cui era possibile – scriveva la GIP - cogliere lo “spessore intellettuale” del suo autore. Adesso è la volta di una collaboratrice romana del quotidiano, che in occasione di un dibattito sulla sovranità monetaria svoltosi a Chieti  nel gennaio 2012 scrisse che Moffa era “ex docente di Scienze Politiche all’Università di Teramo che ha perso la cattedra a seguito dello scandalo sulle sue tesi negazioniste”.  La falsa informazione sarebbe rimbalzata di lì in diversi blog e televisioni locali: tra l’altro, stando alla testimonianza di un teste già acquisita dalla difesa di Moffa, la giornalista rischia l’aggravante di dolo, perché era stata informata  del fatto che il professore era docente dell’Ateneo teramano, e a articolo scritto, richiesta da uno degli organizzatori del dibattito di rettificare quanto aveva scritto. Invano, la giornalista si diceva sicura perché la sua fonte, un’altra giornalista, glielo aveva detto. “Si tratta di un buon passo in avanti – commenta il docente – mi dispiace per il Tempo, che è un buon giornale, e per Sechi che è stato un ottimo direttore, il problema è l’andazzo generale: questo tipo di diffamazione marcia da una testata all’altra, senza che il giornalista di turno, tranne eccezioni, vada a verificare alla fonte”. Questo rinvio a giudizio migliorerà i suoi rapporti con l'Ateneo? “Non credo proprio, sento che il rettore mi sta facendo la guerra, mentre  i colleghi preferiscono mantenermi impiccato al ruolo di negazionista per togliermi spazio. Ho chiesto più volte agli organi collegiali competenti, fin dai tempi della Tranquilli Leali, di visionare la mia lezione e di esprimere un giudizio sull’accusa di negazionismo, ma non l’hanno mai fatto” Motivo? “Non so, forse paura, o forse, visibilità, visto che dichiararsi antinegazionisti – senza peraltro specificare cosa voglia dire questa parola – può aprire spazi di lavoro e di autopromozione mediatica e sociale”