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Gustav Klimt scavò a fondo il regno degli istinti e la coscienza lacerata e contraddittoria del borghese moderno. Gli anni a cavallo tra l'ultimo decennio del 1800 e l'inizio del 1900 partorirono a Vienna una rivoluzione estetica: la Secessione, il cui principale esponente è Gustav Klimt.
Per l'artista occorre gettare la maschera anacronistica dello storicismo, guardare in faccia al "vero volto dell'uomo moderno" per aprirlo alla "nuda verità", che lui interpreterà come una fanciulla senza vesti che mostra uno specchio a chi la guardi.
La mostra "Klimt. La Secessione e l'Italia", in corso a Palazzo Braschi a Roma, rilegge le opere dell'artista, e di coloro che operarono nella sua cerchia, attraverso il loro rapporto con l'Italia.
Klimt amò molto l'Italia, tanto da renderla spesso meta dei suoi viaggi.
Come per Proust, per Hoffman e Moser, anche per Klimt Venezia fu un luogo di forti suggestioni: il pavimento della basilica di San Marco è un motivo continuamente emergente dell'esperienza estetica di quegli artisti. Klimt vi poteva trovare, o meglio ritrovare, secondo Paolo Portoghesi, la sua scacchiera triangolare e la disgregazione del motivo geometrico nella vibrazione pulviscolare. Fra il 1899 e il 1903 Klimt visitò proprio Venezia e Ravenna, dove fu folgorato dai mosaici paleocristiani e medievali, dai vetrini murrini e dagli smalti bizantini. Nel 1899 Klimt partecipò alla Biennale di Venezia, come ospite nella sala austrica, esperienza che ripeterà nel 1910, con una storica mostra personale.
L'anno successivo prese parte all'Esposizione Internazionale di Roma, esponendo nel padiglione austriaco progettato da Joseph Hoffmann e poi, nel 1914, inviò un'opera alla II edizione della Secessione romana, diventando fonte d'ispirazione per alcuni artisti, tra cui Felice Casorati, Galileo Chini, Vittorio Zecchin e Giovanni Prini.
La mostra di Roma si compone di quattordici sezioni e comprende 49 opere autografe di Klimt: si apre con l'origine della Secessione Viennese per chiudersi con "La Sposa", la grande opera incompiuta di Klimt.
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Opera molto attesa la "Giuditta con la testa di Oloferne" del 1901, "dove l'oro invade anche il fondo e si rischiara in una luce tuttavia velata e come d'acquario. L'occhio dell'eroina è ben aperto, ma solo il sinistro, perché il destro è socchiuso in un'ineffabile distanza e come inclinato sulla bocca anch'essa mezza socchiusa, mentre in basso, sul corpo segnato dai tre sfatti petali rosa dei capezzoli e dell'ombelico, poggia la testa di Oloferne visibile a metà, con l'occhio sigillato dal sonno della morte. Ma la mano di Giuditta, invece di ghermire i capelli, sembra quasi deporre una carezza. Tre occhi, digradanti da un enigmatico essere al nulla, tre squisite ed esigue emergenze carnose, tre borchie d'oro magro sul livido velo dell'eroina, tre file di tre bacche, pendenti dai rami astratti di un albero e di alcune piante sullo sfondo, una mano mortale venata d'amore. Non potrebbe pensarsi un'immagine più malata e decadente, ma al tempo stesso autentica a intensa". Canto d'inquietudine intensa: mistero, malattia, amore e morte, non manca nulla per rappresentare la vita.
Chi attende dalla mostra di Roma una ricostruzione completa della poetica di Klimt resterà deluso, come resterà deluso chi ha avuto la fortuna di visitare i musei viennesi, ma la forza dell'esposizione è proprio il dialogo che si instaura tra l'opera del Maestro e degli altri secessionisti con l'Italia.
Molto interessante è la sezione dedicata al "Fregio di Beethoven", fedelmente ricostruito, sebbene sarebbe il caso che si specificasse meglio, nella didascalia, che si tratta di una copia.
Nel 1902 a Vienna arrivò una statua di Beethoven, eseguita dallo scultore tedesco Max Klinger. Gli artisti della Secessione ospitarono la statua nel loro padiglione e Klimt si occupò del decoro. Gustav Mahler eseguì la Nona di Beethoven, che anche nella mostra romana accompagna l'opera. Per il fregio Klimt si ispirò, in particolar modo, all'analisi che, in un saggio, aveva dato proprio della Nona sinfonia Richard Wagner. Wagner sostiene che, in un mondo che sta marcendo sotto i colpi della moderna civilizzazione, soltanto la musica possa salvare l'uomo e "legge la Nona come rappresentazione di una sublime lotta dell'anima alla conquista della gioia, contro le forze ostili e opprimenti che si frappongono tra l'uomo e la sua felicità".
Nell'opera di Klimt è un cavaliere a interpretare la "virile energia", colta da Wagner nella sinfonia. L'uomo resisterà alle tentazioni e ai poteri ostili attraverso la gioia piena della Poesia, figura femminile con la lira, emblema della musica. In altre parole, per Klimt, ciò che non potevano la filosofia, la medicina, la legge, può l'arte. Solo nell'arte è l'unico bene di questo mondo: "l'amore, che l'arte consente di attingere, e che l'arte riproduce nella sua vittoriosa armonia".
Solo l'arte può diventare, riprendendo Nietzsche nell'Ecce homo, "un energico stimolo alla vita, a una vita più intensa".

MARIA CRISTINA MARRONI

 

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