• CANTORO
×

Avviso

Non ci sono cétégorie

Libromarr
È da poco uscito il meraviglioso film di Paolo Sorrentino, “È stata la mano di Dio”, in cui ci si commuove perché c’è il dolore vissuto dal regista: te lo senti addosso e ti penetra dentro. Il dolore della crescita, della perdita, dei lati oscuri presenti anche nelle cose belle.
Stranamente la visione del film si è intrecciata con la lettura del libro di Peter Cameron “Un giorno questo dolore ti sarà utile”. Il romanzo ci trasporta nelle atmosfere più profonde di New York, facendoci riflettere sul disagio della crescita per le persone più sensibili, in una società che vorrebbe tutti conformisti e stereotipati.
James, il protagonista, è un diciottenne sveglio, ironico ed estremamente sensibile che si trova a vivere il passaggio dal liceo all’università. Ama leggere e visitare musei e si trova a disagio con i propri coetanei, abituati a vivere una vita prevedibile. Si sente, invece, in sintonia con la nonna materna Nanette, personaggio fondamentale del libro, spirito libero e autenticamente legata al nipote, di cui intuisce tutte le debolezze, ma anche le potenzialità. James non vuole andare all’università, preferendo l’acquisto di una casa in un luogo isolato, dove potersi dedicare alla lettura dei suoi amati libri e alla meditazione.
I genitori divorziati, e in conflitto perenne tra di loro, decidono, dopo un incidente avvenuto durante un importante seminario, a cui James era stato straordinariamente ammesso, di mandarlo da una psicoterapeuta. Gli incontri tra James e la Dottoressa mi hanno ricordato quelli tra Zeno Cosini e il Dottor S. Anche James vorrebbe, come Zeno, sottrarsi alla cura e ingaggia con la donna una guerra mentale, giocata sul sarcasmo.
“Senza mostrare la minima reazione o titubanza ha detto: «Che cosa pensi della psicoterapia?». Mi sembrava una gara per vedere chi faceva saltare prima i nervi a chi. Non mi pareva molto terapeutico, ma ce l’ho messa tutta per vincere. «Penso che la psicoterapia sia un concetto fuorviante delle società capitalistiche, in base al quale il crogiolarsi nell’analisi della propria vita sostituisce l’atto stesso di viverla»”.
James sembra quasi scusarsi con i lettori per il suo mondo dimesso, per la sua volontà di esercitarsi a non avere successo, il rifiutare la “parabola ascendente verso un futuro pieno di successi” per non sentire l’idiozia di questo miracolo: uomini di fama senza sentimenti. Per questo egli dosa le parole, preferendo il silenzio: “Quasi tutti pensano che le cose non siano vere finché non sono state dette, che sia la comunicazione, non il pensiero, a dargli legittimità. È per questo che la gente vuole sempre che gli si dica: «Ti amo, ti voglio bene». Per me è il contrario: i pensieri sono più veri quando vengono pensati, esprimerli li distorce o li diluisce, la cosa migliore è che restino nell’hangar buio della mente, nel suo clima controllato, perché l’aria e la luce possono alterarli come una pellicola esposta accidentalmente”.
Il ragazzo non vuole condividere neppure i suoi pensieri, parti tanto intime di se stesso, che tiene gelosamente custodite. Comprende presto che nella vita, in fondo, si è sempre soli, non importa la percezione che la famiglia e la società abbiano di noi stessi, alla fine “si sta come d’autunno sugli alberi le foglie”, soli e precari, in attesa della fine. L’importante è non rinnegare se stessi, non cercare di essere altro per piacere agli altri, non fare ciò che non appartiene alla nostra essenza. Il regista Capuano, nel film di Sorrentino, direbbe: “Non ti disunire!”.
Tutti possiamo facilmente identificarci in James, ricordando ciò che fummo a diciotto anni; il giovane ci fa quasi tenerezza per l’assenza di presunzione, per lo spirito di adattamento che alla fine dimostra, non “disunendosi”, ma comprendendo, ed è questa la lezione del libro, che un giorno il dolore di oggi sarà stato utile, perché nessuna esperienza è sprecata.
“A volte le brutte esperienze aiutano, servono a chiarire che cosa dobbiamo fare davvero. Forse ti sembro troppo ottimista, ma io penso che le persone che fanno solo belle esperienze non sono molto interessanti. Possono essere appagate, e magari a modo loro anche felici, ma non sono molto profonde”. 

MARIA CRISTINA MARRONI