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ZENO
Con “La coscienza di Zeno” Italo Svevo (pseudonimo di Ettore Schmitz) realizza uno dei romanzi più significativi della letteratura italiana del Novecento. I lettori, per molto tempo indifferenti allo scrittore triestino, con il terzo romanzo se ne sono infatuati.
La vita è originale” avrebbe ricordato Zeno, pertanto anche la letteratura ha l’obbligo di essere innovativa. Il pubblico non va sedotto, con argomenti popolari e una scrittura accessibile, ma va educato a un gusto differente.
Svevo dismette l’abito verista, ma non per indossare i lussuosi e ricercati abiti dannunziani. Prima di vestire il corpo, bisogna pensare a non far raffreddare l’anima, che poi è sempre l’anima dell’uomo qualunque. Allora non basterà avvolgerla nella seta o nel velluto, semmai in un tessuto grezzo e spesso.
Gli occhi del verista sono offuscati dalla cataratta. Per tornare a vedere restano solo due vie: operare e rimuovere l’ostacolo, oppure guardare con l’occhio della psiche, quello che si guarda dentro, fin nelle viscere. Freud docet. L’occhio di Svevo “stravede, vede oltre, senza che la vista sembri visione”. Oppure ha il “morbo di Basedow”: l’occhio è proteso a guardare altro.
Il protagonista del romanzo, Zeno Cosini, è un uomo benestante che può dedicare molto tempo alle proprie inquietudini di nevrastenico, poiché vive con pigrizia gli impegni lavorativi. Su sollecitazione del proprio psicanalista egli scrive le proprie memorie, curando gli intimi e sottili processi psicologici più che l’andamento esteriore dei fatti (le vicende che lo conducono, innamorato di una bellissima ragazza, a sposare infine la sorella meno avvenente; il successo che, inaspettatamente, lo seconda negli affari, mentre sfugge all’astuto e affascinante cognato Guido, cui pareva destinato); descrivendo anche le sue inquietudini e manie, come il vizio del fumo, mentre ne elude ogni volta il proposito, concedendosi un’”ultima sigaretta”.
Il dissidio interiore viene ad assumere dimensioni tragiche. Per disintossicarsi Zeno entra in una clinica ma qui, mentre teme che la moglie lo tradisca, corrompe infermiere e inserviente per ottenere proprio “l’ultima sigaretta”.
Zeno vive un rapporto complicato con il padre, un borghese affermato. Alla pesantezza del padre il figlio opporrà la leggerezza, perché spirito libero il suo da ogni fardello morale, religioso, culturale. Zeno è un fannullone e un farfallone amoroso, un miscredente, un accanito fumatore, uno spendaccione, ama il gioco e non prende mai sul serio la vita. Tuttavia pure la vita irride affettuosamente al personaggio.
Come un bimbo che si trovi in difetto, perché ha commesso una marachella, Zeno dice bugie, sempre, però, originali. “Son felice - scrive Ettore Schmitz alla fidanzata Livia Veneziani - soltanto quando sento muovermi nella grossa testa delle idee che credo non si muovano in altre teste”. Zeno finge di mentire a se stesso e invece mente realmente allo psicanalista, che avrebbe la pretesa di mettere a nudo quel bugiardo impenitente. Solo il medico vede il re nudo, per tutti gli altri lui è vestito.
Svevo è uno scrittore originale, ha colto nei propri personaggi non la morte dell’anima, ma i segni della nevrosi. E ne ha parlato spudoratamente. L’anima, si sa, è corruttibile e l’uomo “è capace di mettersi la mano sul cuore e di pensare ai soldi”.

MARIA CRISTINA MARRONI