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WhatsApp_Image_2022-07-15_at_09.44.45.jpegQualche volta, accade sempre più di rado, i premi letterari aprono alla scoperta di scrittori di pregio assoluto: è il caso del Premio Grinzane Lattes, il premio letterario in Italia di respiro più internazionale, basti pensare che, tra i cinque finalisti, c’è una sola scrittrice italiana Simona Vinci, con il romanzo “L’altra casa”.

“Sotto la falce”, finalista al premio Grinzane Lattes, è un memoir di Jesmyn Ward, che racconta la morte, fra il 2000 e il 2004, di cinque persone care, cinque giovani vite, tra cui suo fratello Joshua: morti per incidenti, overdose, omicidio o suicidio. Per esorcizzare il dolore e dare un senso all’accaduto, la scrittrice decide di raccontare la storia di questi ragazzi, intrecciandola con la storia della comunità di DeLisle. In Mississippi non c’è possibilità di riscatto: si vive nel determinismo sociale, dettato dal colore della pelle, dalla classe sociale, dall’identità.

Il libro si apre con una dedica struggente al fratello Joshua: “A Joshua Adam Dedeaux. Che guida i miei passi” e, per stessa ammissione della Ward, “raccontare questa storia è l’impresa più difficile che abbia mai affrontato”.

“I miei fantasmi, un tempo, sono state persone, e io non posso dimenticarlo. Non posso dimenticare quando cammino per le strade di DeLisle, strade che sembrano ancor più spoglie dopo Katrina. Strade che sembrano ancora più vuote dopo tutte quelle morti, dove invece di sentire i miei amici o mio fratello che ascoltano la musica in macchina nel parco della contea, l’unico suono che sento è il pappagallo di uno dei miei cugini, un pappagallo il cui grido tormentato, un grido simile a quello di un bambino ferito, è tanto forte da riecheggiare per tutto il quartiere da una gabbia così piccola che la cresta tocca la sommità e la coda sfiora il fondo. A volte, quando il pappagallo grida la sua rabbia e il suo dolore, penso al silenzio del mio quartiere.”

Il silenzio è il suono della rabbia repressa, dei suoi dolori accumulati, ma è giusto dare voce a questa storia di profondo dolore, per allontanare la falce che ha rubato la giovinezza e la vita a questi giovani.
Nella prima parte del libro si racconta la storia della famiglia e della nascita della scrittrice. Nelle fotografie degli antenati materni e paterni della Ward nessuno sorride mai, come se le fotografie avessero fissato per l’eternità il peso della vita. “Nella mia terra c’erano molte cose da odiare, il razzismo, la disuguaglianza, la povertà, tutti motivi per cui me ne ero andata, e tuttavia la amavo”.

Jesmyn è la primogenita di quattro fratelli, Joshua e le due sorelle Nerissa e Charine. Fin dalla nascita la sua è una vita segnata dalla forza e dalla determinazione: nata prematura, deve combattere per sopravvivere: “Alla nascita pesavo un chilo e cento grammi, e i medici dissero ai miei genitori che sarei morta. Avevo la pelle rossa, sottile come carta velina, e rugosa, gli occhi grandi da alieno. Mio padre mi scattò una foto, la scattò a tutto il mio corpo, raccolto nel palmo della sua mano”.
La sopravvissuta Jesmyn dovrà sopravvivere un’altra volta, sotto il peso delle morti, che in soli cinque anni si troverà a dover sostenere emotivamente, morti determinate da fattori sociali: il razzismo, la dispersione scolastica, la precarietà lavorativa e sentimentale, che minerà le famiglie dall’interno, compresa quella della scrittrice. Il racconto di queste cinque morti diventa dunque una critica dura e graffiante per quella stessa comunità: “Bloccati dalla povertà, dalla storia e dal razzismo, dentro stavamo morendo tutti”.

Quello che colpisce tuttavia è la capacità della scrittrice di non sfociare nel patetismo, la ricerca di una propria via di riscatto attraverso il potere della letteratura e della scrittura (“mi vanto di conoscere le parole, di saperle usare perché lavorino per me”), il tentativo di inventarsi una identità personale, per onorare la madre, di cui celebra nel libro la forza di donna rimasta sola con quattro figli, e per onorare insieme tutte le donne della sua famiglia, che dovevano acquisire una forza disumana e alimentare da sole il senso della famiglia.

Le morti vengono raccontate a ritroso, partendo dalla più recente e terminando con la prima avvenuta, proprio quella del fratello della Ward, Joshua, per un incidente causato da un uomo ubriaco: “Il conducente ubriaco aveva una quarantina d’anni ed era ubriaco. Mio fratello ne aveva diciannove ed era nero. Fu condannato a cinque anni. Cinque cazzo di anni, pensai. Ecco quanto vale la vita di mio fratello in Mississippi. Cinque anni.”

“Sotto la falce” è un testo pieno di dolore e di ferite aperte. “È un libro che nasce da un'esigenza che si sente urlare, costante e inesorabile, in sottofondo.” È un libro per chi non ha paura di commuoversi e piangere, è un libro che ti consegna il compito di ricordare Joshua, Ronald, C.J., Demond e Roger, diventate alla fine della lettura persone reali anche per noi. Soffriamo anche noi, perché non è mai accettabile che muoia una persona giovane.

Leopardi pone ad apertura di Amore e morte l'epigrafe menandrea “Muor govane colui che al cielo è caro”: il motivo della morte precoce (thanatos aoros o mors immatura) nasce forse proprio per cessare di lamentare l’aspetto innaturale e scandaloso di tali accadimenti. Questo topos ci ricorda che solo la letteratura può riscattare queste morti, e così infatti accade. Struggenti e profetiche a tal riguardo le parole che il giovane Demond dice alla Ward: “Dovresti scrivere un libro sulla mia vita”. “Dici?” risi di nuovo. Sentivo spesso questa frase quando ero a casa. La maggior parte degli uomini che conoscevo, spacciatori o puritani, credevano che le loro storie fossero talmente importanti da dover essere raccontate. All’epoca ci ridevo su. Adesso che queste storie le sto scrivendo, vedo la verità di quelle richieste”.

 

MARIA CRISTINA MARRONI