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asasaaa.jpeg"Fiori per Algernon": oltre l’intelligenza cosa resta di noi?
Ci sono libri che non si dimenticano.
Non per la trama. Non per il finale.
Ma perché ti costringono a guardare dentro, più in profondità.
Fiori per Algernon di Daniel Keyes è uno di quei romanzi che non si leggono: si vivono.
E quando li chiudi, ti accorgi che qualcosa in te è cambiato.

Charlie Gordon ha un desiderio semplice e disarmante: vuole essere come gli altri: “normale”.
Charlie e’ nato con una disabilità intellettiva e con una gentilezza che spiazza.
Lavora come inserviente in una panetteria, subisce le prese in giro dei colleghi credendoli amici, e frequenta una scuola serale con la speranza – tenera e ostinata – di migliorare.
E questo è l’inizio di un viaggio tanto straordinario quanto doloroso. Perché quando un esperimento scientifico lo rende improvvisamente intelligentissimo, tutto cambia.
Ma non nel modo che ci si aspetterebbe.
L’intelligenza come illusione di salvezza
All’inizio sembra vivere una favola: Charlie scrive meglio, capisce ogni cosa, legge Kant e parla più lingue.
Ma a ogni passo in avanti nella conoscenza, si allontana sempre più dal mondo ideale che aveva immaginato, immergendosi in quello reale, ben più meschino.
Non si sente più parte di niente.
Le persone che prima lo tolleravano ora lo temono.
I legami si sfaldano.
E l’intelligenza, da promessa di felicità, diventa una gabbia lucida e silenziosa.
“ Ho imparato che la sola intelligenza non significa un corno di niente. Qui nella sua università, l’intelligenza, la cultura, la conoscenza, sono diventate tutte grandi idoli. Ma io so adesso che vuoi tutti avete trascurato una cosa: l’intelligenza e l’educazione che non siano temperate dall’affetto umano non valgono nulla. ”
— Charlie Gordon
Questa frase, che Charlie scrive in uno dei suoi rapporti, è uno dei passi più toccanti del romanzo. E anche una delle più brutali verità che ci sbatte in faccia.
Sul suo cammino Charlie incontrerà Algernon, un topo.
Ma non si tratta di un topo qualunque: è stato, infatti, il primo ad essere sottoposto come cavia all’esperimento che cambierà la vita di Charlie.
Tra i due nasce un legame silenzioso e tenerissimo, che li legherà indissolubilmente, in quanto finiranno per condividere lo stesso destino.
Ed è qui che il romanzo ti toglie il fiato.
Perché ora che Charlie sa, ora che ha conosciuto la bellezza e il dolore del capire, è costretto a guardare con lucidità quello che accadrà.
Scienza, etica e dignità: chi siamo quando smettiamo di sentire?
I due scienziati, Strauss e Nemur, rappresentano bene il dilemma etico che percorre tutta la storia: il confine sottile tra la cura e la manipolazione.
Charlie, per loro, è un “soggetto sperimentale”. Un caso di studio. Non un uomo. E’ una cavia quanto Algernon.
Eppure, nei suoi rapporti, lui si interroga. Si arrabbia. Ama. Ricorda. Soffre.
E ci ricorda che nessun esperimento può restituire umanità, se parte dalla negazione dell’altro come essere vivente e sensibile.
Il finale è struggente.
In un unico gesto, tornato al punto di partenza, Charlie ci lascerà ciò che più conta: la consapevolezza che anche ciò che è piccolo e fragile ha valore e merita di essere visto, riconosciuto e rispettato.
E che il reale valore della cultura e della conoscenza non può ridursi ad un mero accumulo di dati, perché queste sono profondamente intrecciate alle emozioni, alle relazioni e all’identità di ognuno di noi.

 

Titolo : Fiori per Algernon (1959)
Autore : Daniel Keyes
Traduttore : Bruno Oddera
Casa editrice : Tea – Collana Tea Biblioteca-45
n. pagine : 304 (brossura)
Genere : Narrativa straniera, Narrativa fantastica