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Tre presidenti di Regione, Ottaviano Del Turco, Gianni Chiodi e Luciano D'Alfonso come massima autorità di protezione civile; l'organo politico in materia, vale a dire i quattro assessori alla protezione civile che si sono susseguiti dal 2007 al 2017, Tommaso Ginoble (2005- 2008), Daniela Stati (gennaio 2009-agosto 2010), Gianfranco Giuliante (2011-2014) e Mario Mazzocca (dal 2014) e poi, a cascata, direttori e dirigenti del dipartimento di Protezione civile di quegli stessi anni, quali Carlo Visca (direttore del dipartimento dal 2009 al 2012), Vincenzo Antenucci (dirigente Servizio prevenzione rischi e coordinatore del Coreneva dal 2001 al 2013) e Giovanni Savini (direttore del dipartimento di protezione civile per tre mesi nel 2014) che avrebbero dovuto rispettivamente curare e realizzare l'attuazione del programma di prevenzione; oltre al responsabile della sala operativa della Protezione civile, Silvio Liberatore, e al dirigente del servizio di Programmazione di attività della protezione civile Antonio Iovino: sono dodici i nuovi indagati dalla Procura per concorso in disastro colposo (eccetto Liberatore e Iovino), omicidio colposo e lesioni colpose in relazione alle 29 vittime della valanga di Rigopiano.

Dodici nomi attraverso cui, dopo i 23 indagati dei mesi scorsi e i relativi interrogatori, la Procura mira adesso a ricostruire la gestione della prevenzione. In particolare, a individuare eventuali responsabilità nella mancata realizzazione della Carta di localizzazione del pericolo da valanghe richiesta dalla legge regionale del 1992.

Su questo concetto i magistrati stanno cercando di capire se individuando il pericolo di valanghe a Rigopiano, come già la carta storica redatta nel 2006 indicava, la Carta di localizzazione dei pericoli valanghe (Clpv) si sarebbe potuto impedire l'ampliamento dell'hotel nel 2007 o si sarebbe potuto imporre la chiusura invernale della struttura. Oppure, si sarebbe potuto disporre misure adeguate, sia pur costose, misure di sicurezza. E i morti di Rigopiano, a prescindere dalla strada bloccata dalla neve per cui deve rispondere tra gli altri il presidente della provincia Antonio Di Marco e da tutti i ritardi nella gestione dell'emergenza affidata in primo luogo al prefetto Francesco Provolo (entrambi già indagati), non ci sarebbero mai stati.

Invece, sostengono gli investigatori, la carta di localizzazione è stata bloccata sul nascere. Perché la carta storica delle valanghe redatta da una società privata per conto della Regione nel 2006, sarebbe rimasto chiuso in un cassetto per sette anni.