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Un uomo disperato: «Ho cercato di suicidarmi ma non ci sono riuscito». E senza speranze: «Sto qui in custodia cautelare senza aver fatto niente e dopo, al processo, mi daranno l'ergastolo». Queste le parole contenute in una lettera aperta che Simone Santoleri, rinchiuso da due mesi nel carcere di Lanciano, ha scritto a Il Messaggero. E denuncia subito perché si trova lì, dopo essere stato allontanato da Teramo, dove è invece ristretto il padre Giuseppe, entrambi accusati dell'omicidio ed occultamento di cadavere della pittrice Renata Rapposelli, madre di Simone e ex moglie di Giuseppe.
I COMPAGNI DI CELLA
«Non potevo sapere che a Teramo - rivela Simone Santoleri- mi avevano messo in cella con due collaboratori di giustizia. Io non fumo, ma un giorno hanno voluto per forza darmi una sigaretta, mi sono sentito male, ho cominciato a vomitare e poi sono caduto a terra e mi portarono in infermeria, non se nella sigarette ci fosse solo tabacco. Dopo hanno sostenuto che ho detto parole contro mia madre e che ho fatto simulare un tentato suicidio a mio padre per evitargli il primo interrogatorio. Ma tutti i precedenti ricoveri di mio padre in Psichiatria a Giulianova stanno a dimostrare il contrario, prendeva troppe medicine».
LE TESTIMONIANZE
Poi passa al setaccio tutte le testimonianze che lo avrebbero dipinto come un mostro. «Oggi parla dopo otto anni di silenzio la mia ex compagna e dice che ero violento contro di lei e mia figlia. Lei che mi ha tradito ha anche il coraggio di parlare. Non ho mai sfiorato neanche con un dito mia figlia per la quale vivevo e respiravo né alla mia ex a cui facevo spesso i regali, Una sola denuncia, poi ritirata, dopo una lite. Mia sorella? L'ho salvata io quando era stata abbandonata per cinque giorni dalle suore ad Ancona e queste volevano addirittura darla in adozione. Andai a riprenderla io e la riportai a casa sotto il mio cappotto perché faceva un gran freddo». Così parla dell'arrivo di suo padre a Giulianova: «Io abitavo da solo e lavoravo come guardia giurata, furono i carabinieri di Ancona che mi portarono mio padre a casa stanchi di vederlo dormire da mesi all'interno della 600 davanti allo stadio di Ancona. Non lo voleva nessuno. Altro che sfruttarlo, Per lui, dopo qualche tempo in cui ci siamo arrangiati, ho costruito un piccolo vano beccandomi anche la denuncia per abuso edilizio». Ed ecco il suo affondo su un'altra testimonianza, quella della vicina di casa. «La signora L, ha sostenuto che ha visto la mia 600 parcheggiata con il portabagagli rivolto verso la casa, contrariamente al solito, e vi avrei caricato il cadavere di mia madre. Ma come, ci sono in giro sempre i suoi due cani, non hanno sentito alcun rumore e poi non si sono accorti dell'odore di un cadavere rinchiuso per tre giorni in buste nere che cominciava a putrefarsi? Strano», conclude Santolieri nella lettera a Il Messaggero.