La banda dei bancomat esplosi va a processo. A processo vanno in dieci tra cui Pietro e Michele Intenza, padre e figlio rispettivamente di 42 e 21 anni, originari di Foggia ma da tempo residenti a Tortoreto, considerati dagli investigatori i basisti della banda. Sono stati loro, in un recente incidente probatorio chiesto dal pm, a raccontare come si muoveva il gruppo tra appostamenti, sopralluoghi e "prove generali".
Per la Procura i due, che hanno rapporti di parentela con un componente della banda, in alcune occasioni avrebbero ospitato i banditi in trasferta. Banditi che, secondo i carabinieri del reparto opertivo che li hanno individuati sono professionisti del crimine accusati di aver fatto esplodere dieci bancomat nel Teramano, nell'Ascolano e in Toscana. Tutti esperti nel maneggiare esplosivi, super veloci nell'arraffare i soldi e nella fuga spesso facilitata dai chiodi lanciati in strada per fermare gli inseguitori e tutti provenienti da Cerignola, grosso centro in provincia di Foggia. L'accusa contestata è quella di associazione a delinquere finalizzata ai furti, detenzione di materiale esplodente e danneggiamento. A capo dell'associazione la Procura mette Massimo Furio, 38enne che, ricostruiscono i militari, organizzava e promuoveva i colpi procurando mezzi di trasporto, telefoni cellulari e schede telefoniche spesso attivate proprio a ridosso dei colpi visto che l'uomo gestiva un negozio di telefonia. Ed è un'associazione, quella tratteggiata nelle quattrocento pagine di ordinanza firmata all'epoca dal gip Roberto Veneziano su richiesta del pm Rosati, che pur non appartenente a nessuna organizzazione criminale, ha un modus operandi da malavita organizzata: non solo nelle gerarchie, ma anche nel sostenere le spese legali di chi viene arrestato e quelle di sopravvivenza dei familiari con una parte dei ricavi dai colpi. Tutti avevano un proprio ruolo: dagli esecutori materiali, alle vedette fino alle staffette. A portare sulle tracce della banda è stato il ritrovamento a Tortoreto, nell'ottobre scorso, di una macchina con targa rubata. A bordo della vettura è stato trovato un congegno esplosivo, la cosiddetta "marmotta", e un ariete in ferro, oltre ad altri materiali per lo scasso.