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violentatoreAnche se si rincorrono le campagne di sensibilizzazione. Anche se, nelle nostre città, le panchine rosse si fanno sempre più numerose. Anche se, nel tessuto culturale della nostra civiltà, le scarpette rosse sono ormai un monumento di denuncia e di memoria, le violenze sulle donne continuano. C’è sempre, nelle cronache della stampa, un titolo dedicato ad un uomo che si è scoperto capace di andare oltre il limite della civiltà, per prendersi con la forza quello che una donna non voleva concedergli. E’ la storia mille e mille volte raccontata di un “mostro” e della sua vittima. Ma, non per questo, è meno dolorosa. Per questo, ha il fragore di un tuono, la condanna a sette anni di carcere con la quale il Tribunale di Teramo ha condannato un trentacinquenne di Castilenti.
Sette anni.
Una sentenza importante, in un momento storico nel quale risuonano, preoccupanti, le parole di chi cerca di trovare una possibile assoluzione in un «lei era consenziente» se non, addirittura, nei tempi della denuncia. Anche in questo caso, il 35enne di Castilenti, ha raccontato che «lei era consenziente».
Ha preso sette anni.
Tutto è successo due anni fa. Il 5 ottobre del 2019, intorno alla mezzanotte quando, in un bar di Contrada Cancelli, la zona industriale periferica e isolata di Castilenti, entra lui, il 35enne, e vede lei, la barista 21enne, che stava pulendo, prima di chiudere. «Devo ricaricare il cellulare» chiede lui. Lei apre. E’ l’inizio dell’incubo.
La palpeggia. Lei resiste e lo allontana. Lui insiste, lei si oppone sempre di più. Lui la trascina di forza nel cucinino del bar, subito dietro al bancone. E la violenta.
Poi, se ne va.
Lasciandola sola, disperata e devastata. Nel fisico e nella psiche. Dovrà far affidamento su tutta la sua forza, per raccontare tutto. Prima ai suoi famigliari, poi alla Polizia Giudiziaria. E poi per riviverlo al processo, ma ci è riuscita, nonostante la profondissima sofferenza. E’ stata aiutata, certo, dalla dottoressa Alberta De Martinis del Centro antiviolenze  Ali.Co.D. di Teramo e ha trovato nel suo avvocato, Manola Di Pasquale, un’amica, prima ancora che una toga alla quale affidare la sua richiesta di verità. Greta Aloisi, Pubblico Ministero. ha istruito il processo con molta attenzione e precisione, senza lasciare nulla al caso, per offrire al Collegio del Tribunale di Teramo, il racconto umano e giudiziario di una vicenda che pretendeva giustizia. Non chiedeva, pretendeva. Una pretesa che il pm ha scolpito in una richiesta esemplare: nove anni. Venerdi 30 aprile 2021, il presidente Domenico Canosa e i giudici a latere Morena Susi e Carla Fazzini, hanno trasformato quella maledetta sera in sette anni di carcere, con applicazione di misure interdittive e la condanna al pagamento delle spese legali e di una provvisionale di 15.000 euro in favore della parte civile.