Non amo le “serie” italiane. Ma, siccome c’era Elisa Di Eusanio tra gli attori, violando ogni mio credo, ho provato a guardare “Fedeltà”.
E ho fatto male.
Non per Elisa, anzi: nel suo ruolo è perfetta, credibile, immediata, vera, ma per tutto il resto dell’impianto “drammaturgico”.
È lento come una messa in latino.
E scontato, come una messa in latino.
Io non so quali esperienze di vita abbiano avuto l’autore e il regista, ma due coniugi, che sono nella fase erotica del gioco, anche incontrandosi durante le ore di lavoro e in posti imprevedibili solo per concedersi una sana trombata (sì, lo so, è volgare ma rende), poi non si tradiscono per una sgallettata senza tette e un massaggiatore di borgata.
Non regge.
Non è credibile.
Non supporta quell’ipotesi di disamore, che credo vogliano venderci.
Per non dire, poi, della quantità di stereotipi vomitati sulla sceneggiatura: lo scrittore di talento ma in crisi creativa e la bella moglie in affari. La famiglia di lui straricca, ma siccome lo scrittore vuole fare l’alternativo indipendente, non accetta i soldi di papà. La madre di lei, credo vedova, simpatica e un po’ squinternata, che rifila alla consuocera una agghiacciante sciarpetta traforata. Tutto già visto, tutto scontato.
Tutto prevedibile, fino alla noia.
E poi… perché - tranne Elisa, che è (e non lo dico per amicizia, ma perché è vero) credibile e vera anche quando fa la milanese - gli altri recitano tutti con quella voce a mezzo tono, che è il male antico del cinema italiano “impegnato”?
Perché si continuano a scrivere dialoghi, in una lingua che nessuno usa?
Ma davvero esiste qualcuno che, in Italia, parla come la sgallettata?
E soprattutto… ma per arrivare alle corna, servivano tutte ‘ste puntate? Quattro puntate per dare un senso al titolo, ovvero alla fedeltà, mancata?
Quando poi, ho visto la pietosa imitazione di Notting Hill, con la scavalcata del cancello di un parco, ho pensato che per me potesse bastare così. Non andrò oltre. Mi fermo davanti a quel cancello. Anche perché dall’altra parte non c’è Julia Roberts, ma la sgallettata irrisolta.
La serie, per me, è finita lì.
Non saprò mai cosa succede nella quinta e sesta puntata.
Per fortuna.
La scelta più azzeccata della serie, è il nome del personaggio interpretato da Riondino, Carlo Pentecoste.
Pentecoste: uno dei misteri gloriosi, come le ragioni che hanno ispirato questa serie..
IL CRITICONE