Chemical attacks in Syria: German prosecutors probe Syria's president Assad | DW Analysis
Il 21 agosto 2013 l’aereonautica siriana, al comando di Bashar al-Assad, bombardò con armi chimiche i civili della regione alluvionale del Ghouta, vicino a Damasco. Nell’attacco persero la vita più di 1000 persone e, tra i sopravvissuti, si contarono più di 3600 feriti, tra i quali molti gravi e con danni permanenti, perché nell’attacco fu utilizzato gas nervino Sarin, classificato come arma chimica di distruzione di massa vietata dai trattati internazionali.
Il giovane giornalista indipendente Thaer H., sopravvissuto al bombardamento, documentò l’accaduto con un filmato dove mostrava gli effetti dell’attacco sulla popolazione civile.
Thaer racconta che non sapeva che cosa stesse accadendo al momento del bombardamento, che era terrorizzato, ma che ugualmente afferrò la sua videocamera e corse fuori a filmare quello che stava succedendo. Ma quando vide davanti ai suoi occhi morire un bambino per l’effetto nocivo del gas Sarin, spense la videocamera. Poi reagì all’improvviso orrore perché avvertì l’assoluta necessità di documentare quanto stava avvenendo nel Ghouta, altrimenti il regime di Bashar al-Assad sarebbe arrivato a coprire ogni prova del crimine compiuto sulla inerme popolazione civile. Allora Thaer riaccese la sua videocamera per riprendere i luoghi dell’attacco aereo e raccogliere le testimonianze dei sopravvissuti.
Quando le immagini di quanto provocato dai militari di Bashar al-Assad sulla regione del Ghouta cominciarono a fare il giro del mondo, denunciando l’utilizzo di armi chimiche di distruzione di massa e in più sui civili, il regime siriano fu costretto a consentire agli ispettori dell’ONU di accedere nel territorio interessato affinché effettuassero le loro indagini. E dopo i controlli, gli ispettori confermarono l’utilizzo di gas nervino Sarin. L’ONU, di conseguenza, nel settembre del 2013 approvò una risoluzione che ordinava al regime siriano la distruzione di tutto l’arsenale chimico e di rientrare nei trattati internazionali che li vietano. Cosa che Bashar al-Assad finse di fare, sapendo di poter contare, all’interno del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Uniti, sull’amicizia di Vladimir Putin.
Le organizzazioni umanitarie presenti nella regione difatti documentarono come Bashar al-Assad invece detenesse ancora stabilimenti e strumentazioni utili alla produzione di armi chimiche di distruzione di massa, che continuava a produrre e immagazzinare nei propri arsenali. Organizzazioni che hanno denunciato che durante i 10 anni di guerra civile in Siria ci sono stati più di 200 bombardamenti con armi chimiche e come Bashar al-Assad, dopo la risoluzione ONU del settembre del 2013, non abbia fatto altro che ricollocare impianti e arsenali.
A tragica conferma di ciò ci furono nel 2017, nei mesi di marzo e aprile, i bombardamenti dell’aeronautica militare di Bashar al-Assad sulle città di Ltamena e Khan Shaykhun, che provocarono ancora centinaia di mori e feriti; e dove l’OPCW, organizzazione internazionale che controlla l’utilizzo di armi chimiche sugli scenari di guerra mondiali, provò che anche in questi due casi Bashar al-Assad utilizzò gas nervino Sarin.
L’ONU anche in questo caso si riunì in seduta straordinaria per arrivare ad approvare una nuova e risolutiva azione per fermare Bashar al-Assad, tentativo che fallì grazie al veto posto al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Uniti da Vladimir Putin, che così salvò il suo amico da quella che sarebbe stata la reazione di giustizia delle Nazioni Unite contro il regime siriano.
Le organizzazioni umanitarie internazionali oggi, considerato il fallimento della politica internazionale, stanno cercando di far imputare Bashar al-Assad per crimini contro l’umanità passando dalle corti di giustizia nazionali, come sta avvenendo in Germania.
Ma nuovi e significativi sviluppi sono attesi, su impulso dato alla politica internazionale dall’Amministrazione Biden, per promuovere azioni contro il regime di Bashar al-Assad come avvenne in Iraq nel 2003, bypassando così il veto automatico a salvamento dell’amico da parte di Vladimir Putin al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Uniti.
MASSIMO RIDOLFI