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MANTRATRAGICOVisto? Ci risiamo! Lo sapevo io, che non poteva durare.
Ormai, il mantra tragico sulla Teramo Calcio, è puntuale come le scadenze delle tasse, anzi: di più, perché quelle - le tasse - magari capita anche che le facciano slittare, tra pandemie e terremoti, ma il mantra pallonifero quello no, non slitta.
Quindi, “ciarisemo” (lo scrivo nella lingua ufficiale daaa Teramo Carcio)
E’ ripijato er mantra traggico.
Si ripresenta con ciclica scadenza, ripetendosi sempre identico a sé stesso, sia pure con qualche curiosa variabile, ai limiti del folclore.
Allora, proviamo a fare un sunto della questione.
E’ semplice, vedrete.
Punto 1: il Teramo rischia di sparire.
Punto 2: i tifosi non vogliono che il Teramo sparisca.
Punto 3: il Sindaco deve risolvere il problema.
E adesso, dico la mia. Voi potreste dire, a questo punto, che non ve ne frega niente della mia opinione, e fareste anche bene. Ma ve la dico lo stesso, visto che non se la risparmiano politici in cerca di visibilità, giornalisti o presunti tali rimasti vittime di sé stessi, commentatori da dopolavoro e opinionisti dal dialetto scomposto.
Solo che la mia, vedrete, non sarà un’opinione. O meglio, lo sarà solo tra le righe, perché cercherò di attenermi ai fatti.
Punto per punto.

Punto 1 : il Teramo rischia di sparire.

E’ vero, ma è un rischio che non deriva da una punizione divina, da uno scherzo della sorte, né da una malevola congiuntura storica, deriva da un fatto molto più semplice: mancano i soldi. O meglio, manca chi metta i soldi. E per la precisione, se anche adesso sembra che ci sia qualcuno che voglia metterli, non può per disposizione dell’autorità giudiziaria. Come siamo arrivati a questo punto? Provo a mettere in fila un po’ di ricordi: il Teramo è fallito con Malavolta, motivo per il quale, per quanto io comprenda la passione, ogni volta che qualcuno dice che il Teramo ha più di cent’anni dice una bugia. A Teramo, è vero, c’è una storia calcistica cominciata più di cento anni fa, ma è altra cosa rispetto alla “società calcistica”, che ha una storia molto più recente. Dopo Malavolta, è arrivato Campitelli, che ci ha messo tanta passione… anche troppa, visto che c’è un processo per una presunta partita “combinata”. Non so cosa decideranno i giudici, ma so che per quella storia il Teramo ha perso la serie B. Poi, è venuto Iachini, che ci ha messo tanti soldi, fino a quando ha deciso che fossero troppi. Decisione sacrosanta, perché ognuno con i suoi soldi ci fa quello che vuole e perché - e su questo tema tornerò ancora tra qualche riga - una attività imprenditoriale, quale che sia, non è “della gente”, né “della città”, né “della passione”, ma di chi ci mette i soldi. Poi, Iachini ha venduto ai fratelli Ciaccia… e il resto lo sapete: i sequestri, l’inchiesta, la nomina di un curatore giudiziario e l’incertezza sul futuro.

Punto 2: i tifosi non vogliono che il Teramo sparisca.

Prima di tutto, definiamo i tifosi. Il Teramo ha una media spettatori, quest’anno, di 1251 persone. Tanti? Pochi? Non lo so. Ma so che non bastano a “reggere” una serie C. O meglio: la serie C è sovradimensionata, in quanto a costi da sostenere, rispetto a quello che è il reale interesse che genera nel pubblico. Rispetto i tifosi veri, quelli che si fanno tutte le trasferte, quelli che cantano dall’inizio alla fine, quelli che si emozionano anche solo a guardare lo Stadio, ma la legge dei numeri è dura almeno quanto quella del gol. Poche presenze significano pochi biglietti, significano pochi sponsores, significano troppe spese per la società. E non sarà certo un caso, se le squadre con la media spettatori più alta sono le prime tre in classifica. Come dite? Che se la squadra vince attira più pubblico? Certo, e attira anche più sponsores, ma è vero anche il contrario, e cioè che la società che ha più tifosi, quindi più pubblico (sponsores etc) ha più soldi da investire per fare una squadra che vinca. E a questo punto, dobbiamo farci una domanda: ma davvero ai teramani interessa il calcio? No, non mi riferisco a quei 1251 della “presenza media al Bonolis”, né al sempre più egoriferito Walter Cori, che cerca da anni di convincerci del fatto che Teramo sia “una città calciofila”, né all’altrettanto egoriferito Dodo Di Sabatino, che cerca di legare la sua immagine sempre di più alla casacca biancorossa, forse sperando che ci si dimentichi di quelle che ha cambiato in politica, né agli “opinionisti” dell’etere, ma ai cinquantamila teramani che allo stadio non ci vanno. Che il calcio non lo seguono. Che non considerano l’eventuale scomparsa del Teramo un “problema” sociale. Ecco, tra quei cinquantamila, magari ci sarà anche una quota di tifosi “tiepidi”, che seguono a distanza, che non vanno allo Stadio… ma di certo ci sono tanti imprenditori che non hanno mai considerato, non considerano e non considereranno mai la possibilità di investire nel pallone. Così come non credo che, per quanto suggestiva, abbia possibilità di successo la proposta dell' azionariato popolare avanzata su queste pagine da mister Valbruni, perché questa è una città capace - storicamente - di grandi slanci ...a parole, un po' meno grandi quando c'è da mettere mano al portafoglio. Tutto questo per dire che, per quanto siano comprensibili le speranze dei tifosi, se quegli imprenditori non partecipano, non esistono le basi per fare calcio a Teramo. Torniamo sempre allo stesso nodo: non è una questione di passione, ma di soldi.

Punto 3: il Sindaco deve risolvere il problema

E invece no. Il Sindaco non deve risolvere il problema. Perché quello del Teramo Calcio, non è un problema del Sindaco. Perché il problema di una società privata, non può essere - per definizione - il problema di un ente pubblico. Il Sindaco non deve e non può occuparsene. Sono convinto che abbia molto, ma molto altro da risolvere. E non lo dico solo per il Teramo Calcio, perché lo stesso valeva all’epoca per la Teramo Basket (che di spettatori ne faceva molti di più e giocava in serie A), e lo stesso vale per ogni altra società sportiva che attraversi problemi economici. Non sta al Sindaco, cercare i “compratori”, né creare “cordate”, come con una certa frequenza mi pare di leggere nelle esortazioni che animano il mantra tragico dei salotti televisivi. Il Sindaco, deve e può interessarsi dell’imprenditoria privata in crisi, solo quando quella crisi coinvolge posti di lavoro, mettendo a rischio famiglie e compromettendo il futuro delle giovani generazioni, non quando si rischia di perdere una squadra di calcio. Il Sindaco di Siena (e cito una città che, per curioso destino parallelo, ha più o meno gli stessi abitati di Teramo e come Teramo ha perso in pochi anni una squadra di calcio, una squadra di basket in serie A e una banca importante), qualche giorno fa, appena avvertito il mantra tragico pallonifero, ha subito precisato: «Il Comune non entra e non deve entrare nelle scelte sportive legate all'Acn Siena: non sono queste le competenze dell’amministrazione, ma spettano alla società. Sono intervenuto spiegando che l’amministrazione comunale è attenta alle vicende delle società sportive che rappresentano la città a livello nazionale e internazionale, ma troppo spesso, in passato, si sono commessi errori di commistioni fra amministrazione e società sportive, con risultati che, purtroppo, sono sotto gli occhi di tutti.(...) Per quanto riguarda lo stadio ‘Artemio Franchi’ e l’impianto ‘Massimo Bertoni’ è in atto una convenzione che prevede specifici obblighi da parte della società. Obblighi che prescindono da progetti futuri, che pure saranno sicuramente valutati e messi a disposizione della comunità senese. In ogni caso il Comune di Siena continuerà a fare la propria parte, monitorando la situazione presente e futura per le specifiche competenze».
Chiaro, no? Rileggiamo: “…non sono queste le competenze dell’amministrazione”, e ancora “…troppo spesso, in passato, si sono commessi errori di commistioni fra amministrazione e società sportive, con risultati che, purtroppo, sono sotto gli occhi di tutti”. E pensare, che proprio al Comune, la Figc aveva chiesto di “valutare” le sette cordate che si proponevano di rilevare la società, per poi comunicarlo alla stessa Federazione. E il Comune lo fece, ma solo come “verificatore”. Poi, è finita lì. Da lì in poi… spetta alla società, se ce la fa bene, se non ce la fa… come tutte le società che non ce la fanno, si azzera e si ricomincia. Non sarebbe piacevole, certo, ma sono convinto che ci sia più dignità e onore nell'alzarsi dopo una caduta, che nel cercare di non cadere appoggiandosi ad ogni sostegno, anche il più improbabile.


Evitando, soprattutto la pantomima del mantra tragico.

Perché nun s’aregge più.

ADAMO