Addio Bruno, personaggio di una Teramo che non c'è più. In città, lo conoscevano tutti, faceva parte del tessuto urbano cittadino, era una presenza fissa, in centro storico, con quella sua camminata inconfondibile, il cappello, quella sua parlata a voce alta e quel modo di rispondere alle inevitabili provocazioni dei ragazzini (e non solo loro), che affogavano la lentezza sempre identica della vita di provincia, nel gioco cattivo di perseguitare il diverso.
Perché Bruno era diverso, di una diversità tutta sua, che lo costringeva a vivere in un mondo che non gli somigliava e che fin troppo spesso non sembrava disposto ad accettarlo.
Anni fa, in una serata di pioggia, salì nella vecchia redazione del Messaggero, in via Costantini, per chiedere come si potesse pubblicare un annuncio per cercare moglie. «Mi voglio sposare - diceva, perso in una tenerezza bambina - perchè voglio anche io avere una moglie, che mi abbraccia».
La provincia, che sa essere anche cattiva, e che gli aveva affibbiato un nomignolo amaro, aggettivando il suo nome, così come aveva fatto con altri personaggi della Teramo di una ventina d'anni fa, certo non gli aveva regalato abbracci. Perché l'ignoranza feroce sapeva farsi più forte della solidarietà, e Bruno era facile da colpire.
Bruno Di Felice, è morto questa mattina, in un letto del Mazzini. Aveva 65 anni, tre fratelli, una sorella e tanti nipoti. I teramani che non l'hanno dimenticato e, magari, anche quelli che vogliono chiedergli scusa, potranno salutarlo domani alle 15 nel Santuario di Madonna delle Grazie, in occasione del rito funebre.