Diventa definitiva l'assoluzione dell'ex rettore Luciano D'Amico perchè il fatto non sussiste. La Suprema Corte ha rigettato il ricorso per saltum presentato, a inizio anno, dalla procura di Teramo che aveva sollevato, in venti pagine, una questione di legittimità innanzi alla Cassazione contro la sentenza di assoluzione di D’Amico. Il pm Davide Rosati aveva presentato ricorso per saltum che, così come previsto e disciplinato dall’articolo 569 del codice di procedura penale, evita quello in Appello e va immediatamente alla Suprema Corte. La questione, chiusa ora definitivamente, è quella del doppio incarico di Luciano D'Amico come rettore dell'università di Teramo e presidente del cda dell'Arpa e della Tua, la società unica abruzzese di trasporto. La Cassazione ha respinto le venti pagine di ricorso con cui la procura chiedeva di annullare la sentenza con cui, dopo tre anni di udienze, D’Amico era stato assolto con la formula più ampia del fatto non sussiste. A rappresentarlo l'avvocato Tommaso Navarra che, in questo procedimento, aveva assunto le difese insieme ai colleghi Gennaro Lettieri e Renzo Di Sabatino.
Finisce una lunga pagina giudiziaria nata nel momento in cui la procura ha contestato che, tra il 2014 e il 2017 Luciano D’Amico avrebbe percepito indebitamente 57mila euro. Sempre per l’accusa, ciò sarebbe avvenuto in quanto D'Amico avendo assunto l'incarico all'Arpa e poi alla Tua (svolto gratuitamente), smettendo di svolgere l'attività di docente a tempo pieno, requisito che la legge prevede come necessario per poter ricoprire la carica di rettore. Da qui l'accusa di indebita percezione di erogazioni ai danni dello Stato. Inoltre la procura teramana contestava a D'Amico anche il peculato per la consegna, nell'ambito della cerimonia «Welcome Matricole», di 10 tablet dell'università al personale tecnico di supporto.