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Per valutare una immagine non bisogna partire dalla visione d'insieme del soggetto raffigurato che ci troviamo davanti agli occhi ma dal particolare: è dal particolare che prende forma il racconto che l'immagine vuole dirci, tramandarci, salvaguardare; è sempre il particolare che determina il valore di un'opera, e per assorbire questo concetto basta andare a vedere e guardare I Morticelli di Francesco Paolo Michetti (1851-1929), dipinto a olio su tela applicata su tavola del 1880, dalle dimensioni particolarissime, 72,5x253,5, dove sostanzialmente ci si trova davanti a una immagine grandangolare, a un piano sequenza, all’inquadratura di una macchina fotografica, perché questa di Michetti è un’opera che fa sue due arti, la fotografia e il cinema, comprendendo la visione fotografica del soggetto e addirittura anticipando quella che sarà del cinematografo, seguendo il racconto di una tragica processione funebre di due neonati, due gemellini, figli di povera gente, opera che folgorò Gabriele D'Annunzio (1863-1938), intimo amico di Michetti, che ispirerà la sua silloge del 1882 Canto Novo, che conterrà anche illustrazioni del pittore di Tocco da Casauria – e per vivere questa esperienza non c'è neanche bisogno di fare chissà quale viaggio verso l'esotico ma basta rimanere in Abruzzo e recarsi a Pescara, perché adesso il dipinto è conservato presso il Museo Casa Natale di Gabriele d'Annunzio, dove è stato trasferito dal Museo Nazionale d'Abruzzo a L'Aquila dopo il tragico terremoto del 6 aprile 2009, e dove si spera ritorni a stare.

Quindi è con in carico questo "concetto del particolare" che ho voluto avvicinarmi al lavoro collezionato dal collettivo composto dai fotografi Dino Libertini,  Vincenzo D'Addazio, Luciano Evangelista, Remo Cutella, Nestor D'Alessandro,  Antonino Giovanetti, Gabriele Alfonsi e Lino Rosetti, fotografi tutti loretesi riunitisi con l’intento di documentare e valorizzare attraverso l’arte fotografica il territorio che li circonda; collettivo che ha la lodevole ambizione, nel tempo, di raccogliere un archivio che sia anche fondo di ricerca. In questa loro prima mostra gli artisti fotografano, raccontano, la Loreto Aprutino degli ultimi 5 anni, un lustro che hanno voluto dividere per capitoli tematici, idea che struttura, consolida l’esposizione fotografica per tradizioni popolari, riti religiosi, paesaggi e memoria architettonica del centro storico di Loreto Aprutino, il tutto raccolto sotto il titolo emblematico di Memoria dell'alloro: Loreto racconta, pianta simbolo del paese dell'area Vestina, appunto l'antica Lauretum, alloro che cinge anche lo stemma comunale, città del Laurus nobilis romano.

Subito si deve chiarire che il progetto fotografico rientra nel cartellone della quarta edizione di PAESEMADRE, un ricco programma di eventi culturali multidisciplinari che avranno luogo nel comune di Loreto Aprutino dal l’8 al 10 luglio prossimi; edizione che quest’anno ha come sottotitolo programmatico memoria e scordanze, concetto che gli organizzatori (Associazione Culturale Lauretana-Teatro del Paradosso, in collaborazione con Fante di Cuori e Consulta Giovanile di Loreto Aprutino, il tutto patrocinato dal Comune di Loreto Aprutino) intendono interpretare come riconoscimento del passato nel paese nativo, quindi della sua storia, ma, nello stesso tempo, necessità di ripensarlo coniugandolo al futuro per rinnovarlo nella conoscenza di tutto ciò che ha portato i suoi cittadini a questi nostri giorni.

Ma, tornando alla fotografia, la prima cosa che salta all’occhio di questa esposizione è l’utilizzo – sono tutti scatti in digitale – armonico del bianco e nero e del colore, dove appunto nessuna delle due scelte estetiche, espressive, predominano sull’altra, bensì sembra come se le immagini si congedassero l’una dall’altra cedendo al colore o, al contrario, al bianco e nero. È questa armonia dell’insieme che trovo straordinaria, considerato che i partecipanti al collettivo fotografico  godono di una miracolosa comunione, perché è giusto sapere che ognuno di loro ha raccolto il proprio lavoro, come si è detto degli ultimi 5 anni, e così lo ha offerto, senza partire da un soggetto, da una idea programmatica cui poi è seguita l’azione – è già basterebbe questo a provare che c’è motivo e motivazione in questi artisti.

È quindi, arbitrariamente, scorrerò queste fotografie soffermandomi a raccontarne alcune – la mostra conta una trentina di scatti scelti – per quello che vedrò, per il “particolare” che riuscirò a cogliere, armato dei soli miei occhi e di tutto quello che i miei propri strumenti di scrittura possono tentare di tradurre sull’umile foglio bianco.

 

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Inizio allora il mio cammino nei luoghi – che sono anche metafisici – rappresentati da questo racconto per immagini dall’indagine che gli autori hanno condotto alla fine del giorno, nel colore che si fa lentamente grave e colgo la luna chiara, intera, nel cielo turchese di Loreto Aprutino catturata da Luciano Evangelista poco sopra Castello Chiola.

E poi mi sposto sul bianco e nero che scruta i lavori preparatori alla antica processione di Pentecoste in onore del patrono San Zopito, e colgo il cappello di paglia nuovo di negozio – quello della Festa Grande – del contadino che tiene due buoi per il muso, fermi nello scatto di Antonino Giovanetti.

Ritorno al colore e arrivo al giorno di Pentecoste e colgo il bambino con il costume caratteristico che sta per salire sul bue bardato per la processione di San Zopito, che inginocchiato, ubbidiente, lo attende, che il bambino per la fune lo tiene come fosse un docile cagnolino, come docili sono i colori in questa foto di Dino Libertini.

Riposo il mio sguardo tra i vicoli e i palazzi del centro storico dove colgo due biciclette fermate dall’inverno, una da bambino appoggiata a un’altra da adulto che ci raccontano di una famiglia che rivedremo pedalare in una futura primavera: questo credo dica lo scatto in bianco e nero di Gabriele Alfonsi.

E le architetture ritrovo riprendendo il cammino dove colgo l’insegna sgarrupata di un negozio di VINO e CAFFÈ chiuso evidentemente da decenni, da molto prima che arrivasse a salvarla alla memoria la macchina fotografica di Nestor D’Alessandro.

E come un’opera grafica a prima vista ci appare invece lo scatto in bianco e nero di Remo Cutella, che cattura sul selciato a spina di pesce un’ombra composta, dove colgo un uomo che porta un asino per la cavezza dove sopra è montato probabilmente un bambino con in mano un cartello, che in alto ha una croce e l’ombra di un ramoscello d’ulivo, probabilmente a rappresentazione della Domenica delle Palme, dell’entrata di Cristo a Gerusalemme.

E ora vorrei proprio quella sedia gialla, proprio quella che tiene l’attore per la spalliera nella sua recita per le strade di Loreto Aprutino, di legno, col sedile impagliato: una povera sedia colgo nel giallo oro di Lino Rosetti.

E seduto su quella sedia, idealmente, mi metto a rimirare quest’ultima foto, che mi dice della Chiesa di Santa Maria in Piano nello scatto serale del bianco e nero di Vincenzo D’Addazio, ancora imprigionata dal terremoto del 2016.

Ecco, a questo punto non mi tocca che invitare tutti a visitare questa mostra, a camminare tra il bianco e il nero e fino a raggiungere il colore per cogliere ognuno il proprio “particolare”, riconoscendo il proprio passato per ripensare il futuro, ovunque le proprie vite continuino.



MASSIMO RIDOLFI

 

Info: Memoria dell'alloro, inaugurazione mostra 9 luglio 2022, ore 17:30, ingresso libero.

Teatro Comunale “Luigi De Deo” di Loreto Aprutino, Via dei Mille.

La mostra sarà liberamente visitabile fino al 17 luglio 2022, dalle 17.00 alle 21.00,

Evento inserito nel cartellone della quarta edizione di PAESEMADRE-MEMORIA E SCORDANZA, 8-10 luglio 2022.

Ideato dalla Associazione Culturale Lauretana-Teatro del Paradosso, in collaborazione con Fante di Cuori e Consulta Giovanile di Loreto Aprutino, con il patrocinio del Comune di Loreto Aprutino.

Contatti: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo., Tel. 3332949140.